Roberto d’Angiolo è avvocato esperto in diritto marittimo. Ha la patente di spedizioniere doganale ed è socio della Mario d’Angiolo & C Srl Spedizioni Internazionali. È segretario di Assospena, Associazione Spedizionieri Doganali di Napoli. «Nasco da genitori napoletani veraci. Papà è del vico Scassacocchi, arteria fondamentale che da Forcella porta a via dei Tribunali. È figlio d’arte perché ha imparato da nonno Renato il “mestiere” di spedizioniere doganale e nel 1970 ha fondato la società Mario d’Angiolo & C Srl con sede a via Salvatore Fusco, nei pressi del porto. Anche Mamma ha sempre lavorato nel mondo dello shipping per cui sia io che mia sorella abbiamo frequentato l’istituto Suore Maestre di Santa Dorotea che garantiva ai miei genitori tranquillità e sicurezza. Fin dalla prima elementare ho iniziato a fare recitazione. Il programma di studi della scuola di via Manzoni prevedeva, infatti, progetti teatrali che davano origine a spettacoli che venivano portati in scena nel corso dell’anno scolastico. Sorprendentemente rivelai di “calcare” il palcoscenico con disinvoltura e di creare empatia con gli spettatori. Inizialmente ero aiutato dalla simpatia che gli adulti mi riconoscevano e da quel pizzico di innocente sfrontatezza tipica del bambini che non soffrono di timidezza. Crescendo, però, cominciai ad avvertire l’ansia da palcoscenico e allora imparai a gestire le mie emozioni modellando un autocontrollo che lasciava intatta l’autenticità delle mie emozioni. In poche parole ero attore di me stesso. Questo modo di essere mi ha aiutato molto come imprenditore e nella mia professione di avvocato».

Dopo le medie scelse il liceo scientifico e non il classico. C’è stata una ragione particolare?

«Erano i due indirizzi che andavano per la maggiore. Decisi per lo scientifico perché ero convinto che dopo il diploma avrei avuto maggiori opzioni nella scelta della facoltà alla quale iscrivermi. Ero orientato per una di natura scientifica Ma, come spesso accade nella vita, mi contraddissi perché m’iscrissi alla facoltà di giurisprudenza, pur non avendo in famiglia esperti di diritto».

Come spiega questa decisione?

«Me lo sono chiesto più volte e ho trovato sempre e solo due motivi plausibili. Il primo l’ho fatto risalire alla disinvoltura con la quale affrontavo da bambino l’esperienza del palcoscenico e alla capacità di relazionarmi con spigliatezza con gli adulti. Da adolescente vedevo nell’avvocato la professione dove meglio si potevano esprimere queste “qualità”. Il secondo quando ho cominciato ad accompagnare papà durante il lavoro in occasioni particolari».

Ci spieghi.

«Lo spedizioniere doganale che fa import ed export gestisce le spedizioni internazionali dei prodotti. Il suo compito principale è concludere un contratto di spedizione, cioè evadere la necessità di un cliente di trasferire i materiali acquistati o venduti, spesso da e verso l’estero, aiutandolo nell’evasione di tutte le pratiche doganali e fiscali necessarie, nonché nel reperimento dei mezzi di trasporto più idonei. Papà si è sempre occupato prevalentemente di export mentre dell’import si occupa un fratello. Aveva l’abitudine di farmi andare insieme a lui da bambino specialmente quando bisognava spedire carichi speciali come nel caso delle turbine fuori sagoma perché in quelle occasioni c’è la spettacolarità delle operazioni di carico. Ma, come per ogni spedizione, c’è anche la complessità delle procedure amministative e legali. Mi riferisco in particolare alla polizza di carico che è titolo rappresentativo delle merci in esso indicate. Per il nostro codice civile chi possiede questo documento ha diritto alla consegna delle merci in esso specificate, ne ha il possesso e ne può conseguentemente disporre mediante semplice trasferimento del titolo (ed in ciò si sostanzia la cosiddetta negoziabilità). Sentivo papà che ne discuteva dei contenuti con i clienti e anche con consulenti esterni. Non ne capivo nulla ma intuivo che si trattava di argomenti importanti. Quando da liceale, il pomeriggio, iniziai ad andare in azienda con una certa continuità, questo aspetto dell’attività cominciò a incuriosirmi. Volevo capire il significato di tutti quei documenti tecnici e di quelle clausole scritte a tergo in caratteri appena leggibili. Presi coscienza che solo continuando l’attività di spedizioniere e completando gli studi di giurisprudenza avrei potuto raggiungere l’obiettivo».

Qual è stato l’esame che l’ha affascinata maggiormente?

«Diritto internazionale. L’estero per me ha rappresentato sempre una frontiera alla “portata”, un mercato da raggiungere. Perfino i paesini più sperduti e sconosciuti ai più lo sono. In azienda abbiamo affisso alle pareti diverse mappe geografiche con le rotte marittime da seguire per raggiungere i porti commerciali del mondo. È fondamentale per lo spedizioniere e per l’avvocato esperto in diritto marittimo conoscere le norme che regolano il trasporto marittimo, per garantire una consulenza professionale e competente».

Dove ha fatto pratica per sostenere l’esame per avvocato?

«Ho avuto la fortuna e il privilegio di avere svolto il praticantato presso lo studio legale Filippi, uno dei più noti studi esperti in diritto marittimo. Mi dissero che per l’esperienza che avevo già maturato nell’azienda di famiglia sicuramente sarei diventato un bravo avvocato. Lo studio si occupava di pratiche molto importanti e si faceva lavoro di gruppo. È stata per me una palestra importantissima che mi ha comportato notevoli sacrifici perché mi dovevo dividere tra l’azienda e lo studio. La mattina andavo presso il mio ufficio, quindi mi recavo in tribunale e nella pausa pranzo ritornavo in azienda. Alle 16 ricominciavo a lavorare allo studio. Questo ritmo era quotidiano ma non mi è mai pesato. Ho avuto anche grandi soddisfazioni e nutro affetto e riconoscenza enorme nei confronti dei miei mentori, veri e propri punti di riferimento per la mia professione».

Quando ha deciso di mettersi in proprio?

«Mi sono sentito pronto e preparato a fare il grande passo a trent’anni. Ho cominciato presso il mio ufficio, dove tuttora svolgo ancora la professione di avvocato, dividendomi con l’attività doganale. Naturalmente non faccio lo spedizioniere per incompatibilità con la professione forense anche se durante il liceo ho superato l’esame di Stato e ho conseguito la patente di spedizioniere doganale».

Ritornando al teatro, la sua è una passione che continua tuttora e che nel tempo si è arricchita di nuove e importanti esperienze. Ci racconti.

«Al liceo fui contattato dalla madre di una mia amica che era a conoscenza della mia passione per il teatro. Recitava in una compagnia amatoriale fondata dall’attore napoletano Giuseppe Anatrelli. Artista, regista e produttore pregevole, per dieci anni aveva fatto parte della compagnia di Eduardo De Filippo.Viveva al Vomero Alto, ai Colli Aminei. Quando feci il provino mi resi immediatamente conto che si trattava di un gruppo di attori che erano amatoriali solo perché non erano pagati ma avevano uno spessore artistico di alto livello. Fui preso e con la compagnia ho fatto tutta la Scarpettiana classica. Ci siamo esibiti nella maggior parte dei teatri cittadini tra cui il Cilea, il Diana, il Bracco. Purtroppo da qualche anno la compagnia si è sciolta e questa meravigliosa esperienza non ha potuto avere seguito. Ma non mi sono fermato. Per due anni mi sono cimentato nel teatro sperimentale con pièce teatrali di autori di primo livello. È stata un’esperienza unica e indimenticabile. Il teatro è parte della mia vita, dalle prove al debutto è un percorso fatto di solitudine e condivisione, emozioni e sensazioni fisiche. Un piacere che diventa necessità, fatta di silenzi, profumi di legno, rumore di assi che scricchiolano e sipari cigolanti, lacrime e abbracci, riti scaramantici e studio approfondito: un caleidoscopio di sensazioni così forti del quale è impossibile farne a meno».

Poi ha fatto anche scuola di teatro.

«Una mia carissima amica, molto impegnata nell’Azione cattolica della parrocchia Santa Maria di Costantinopoli a Cappella Cangiani, mi chiese di dare un aiuto a un gruppo di ragazzini che in parrocchia approfondivano tematiche particolari e volevano portarle in scena nell’attiguo teatro “Paradiso”. In quell’anno il tema era quello della pazzia e volevano rappresentare “’O miedeco d’‘e pazze” di Scarpetta. Cercai di dissuaderli informandoli che la drammaturgia che avevano scelto era molto difficile e che, in generale, fare teatro significava trovarsi di fronte a continui ostacoli di ogni genere. Sortii l’effetto contrario perché le loro insistenze nell’aiutarli nella sceneggiatura e nella regia divennero pressanti e accettai. Lanciai una sfida a loro ma anche a me stesso e scelsi di rappresentare una mia rilettura del “Berretto a sonagli” di Pirandello. Per quell’anno andai anche in scena interpretando il protagonista. Il risultato fu straordinario. Questa esperienza è terminata sette anni fa e abbiamo chiuso con “Filumena Marturano” dove ho interpretato Mimì Soriano e Margherita Marinaro una straordinaria Filumena (oggi è una collaboratrice del mio ufficio). Un successo incredibile con ragazzini diventati adulti e con una compagnia, l’abbiamo chiamata “P’ammore e Dio”, diventata una famiglia che è ora in area di parcheggio».

Prima della pandemia un altro piccolo capolavoro.

«Ho riscoperto un testo meraviglioso racchiuso in un libro che ebbi regalato 15 anni fa. Si chiama “Destinatario sconosciuto”. È un romanzo breve ma molto intenso del 1933, scritto da Katherine Kressmann Taylor cha ha in nuce il nazismo e gli orrori della Shoah. Da 5 anni, in coincidenza con la Giornata della Memoria, porto in scena la riduzione teatrale di questo testo in teatro e nelle scuole. E proprio il 31 marzo, in occasione della presentazione del libro presso la libreria “The Spark” in piazza Bovio, ne proporremo una lettura drammatizzata».

Le rimane il tempo per qualche altra passione?

«Poco, ma che vivo intensamente con mia moglie Ilaria, e con i nostri figli Riccardo di 11 anni e Claudia di 8. Continuo, però, a strizzare l’occhio alla mia Harley Davidson con cui, quando posso, viaggio con amici e partecipo a raduni in giro per il mondo».