Umberto Casillo (nelle foto) è il titolare della Casillo Clima, centro autorizzato di assistenza per le caldaie a gas Immergas, per gli scaldacqua a gas Rinnai e per i condizionatori del marchio Mitsubishi. È tra i primi che ha “importato” in Italia il condizionatore d’aria inventato dall’ingegnere statunitense Carrier. La sua azienda è leader per la creazione di impianti solari termici e ad energia rinnovabile, che forniscono agli edifici acqua calda tecnica e sanitaria. Sportivo multidisciplinare, è consigliere al Triathlon del Circolo Canottieri Napoli. «Sono nato al corso Vittorio Emanuele, lato Mergellina. Mi considero due volte figlio d’arte perché mio padre era un imprenditore nel settore degli impianti di riscaldamento nelle abitazioni e uno sportivo. Praticava il nuoto al Circolo Canottieri Napoli negli anni ’50 con apprezzabili risultati. Primo di tre figli, ho due sorelle, ho frequentato le scuole primarie e secondarie nel mio quartiere. Al momento della scelta delle superiori seguii la mia passione per l’elettronica e dissi ai miei genitori che mi sarei voluto iscrivere all’Istituto Tecnico Industriale Augusto Righi e conseguire il diploma di perito elettronico. Papà con garbo mi fece intendere che avrebbe preferito che avessi scelto un liceo con indirizzo umanistico o scientifico perché, forse nella sua mente, mi vedeva un futuro avvocato o ingegnere, ma non mio ostacolò. Era un uomo cresciuto con un’educazione improntata al rispetto del pensiero degli altri e tra questi rientravamo anche noi figli ai quali ha dato sempre consigli ma mai imposizioni. È stato per me e per le mie sorelle un grande maestro di vita, anche quando siamo diventati adulti. Mamma era fatta della stessa pasta, lo stesso rispetto verso di noi al quale si aggiungeva una dolcezza che solo l’amore materno può esprimere».

La sua scelta premiò le aspettative?

«Nei primi due anni approfondii molto la meccanica nella quale mi ero dilettato fin da bambino, passione tramandata sempre da papà, provetto motociclista. Superato il biennio, quando entrai in contatto con l’elettronica, rimasi profondamente deluso».

Perché?

«Mi aspettavo insegnamenti teorici con conseguenti esperienze pratiche in laboratorio nelle materie relative all’elettrotecnica, elettronica digitale e analogica, elettromeccanica ed elettroacustica, radiofrequenze, sistemi di telecomunicazione, componenti hardware e cablaggi. Invece mi trovai di fronte alla matematica avanzata, alle sue formule, alle sue logiche che non rientravano assolutamente nelle mie preferenze che riguardavano principalmente le materie umanistiche. Papà aveva visto giusto tanto è vero che conseguii il diploma facendo il migliore tema di italiano di tutto l’Istituto. Nel frattempo mi accontentavo di fare le sperimentazioni pratiche con un amico e collega nel piccolo laboratorio che aveva allestito in una pertinenza della sua abitazione a San Giorgio a Cremano. Costruivamo i primi circuiti, amplificatori, radioline. Come meccanica, assemblammo un go kart con motore da 100 cc e partecipavamo a gare amatoriali sui circuiti».

Intanto era emersa la passione per lo sport ereditata da suo padre.

«Mi iscrissi alla palestra di judo del Sensei Nino Della Moglie che si trovava a via Martucci. Era praticata dai miei cugini ai quali ero molto legato. Avevo 11/12 anni e arrivai fino alla cintura marrone. Poi iniziarono le prime distrazioni adolescenziali che mi fecero perdere la costanza negli allenamenti. Ma lo sport lo avevo nel sangue e continuavo ad andare in bicicletta, il mio primo mezzo di trasporto e strumento di libertà, e iniziai a frequentare una palestra per mantenere la forma fisica. La bicicletta, tranne una pausa motociclistica, mi accompagna tutt’oggi. Gradualmente passai a bici più impegnative a partire dalla mountain bike. In quegli anni era la moda del momento, ma io la intendevo sempre come un meraviglioso mezzo per fare sport immersi nella natura. Insieme ad amici appassionati come me, quando era possibile, facevamo lunghe escursioni nei dintorni di Napoli, soprattutto verso i Campi Flegrei. Ricordo che quando arrivavo al faro di Capo Miseno o al belvedere di Monte di Procida restavo incantato di fronte al panorama che si offriva ai miei occhi».

Quando iniziò a lavorare?

«Appena diplomato. Avevo voglia di guadagnare per rendermi autonomo nella mia nuova passione sportiva che era il motociclismo. Andai nell’azienda di papà che si occupava di impianti di riscaldamento per le abitazioni e alberghi. Mi ha fatto fare la gavetta nel modo più corretto e proficuo perché mi mandava sui cantieri insieme agli operai. Ma oltre alla pratica dava molta importanza anche la teoria. Mi ha comprato molti libri scritti da ingegneri e architetti specializzati in materia per farmi capire i principi che regolano la trasmissione del calore. Li ho studiati tutti e li conservo gelosamente perché mi hanno consentito di acquisire conoscenze di fondamentale importanza per la mia attività professionale».

Ha detto che la passione per la motocicletta aveva messo un poco da parte quella per la bici. Come mai?

«Avevo più o meno 20/21 anni quando conobbi per caso, tramite amici comuni, delle persone più grandi di me appassionate di moto che si riunivano la domenica a piazza Vittoria e organizzavano gare fuori pista e su circuiti privati con moto enduro. Un giorno mi invitarono ad andare con loro. Possedevo una Honda 500 cc. Il percorso che facemmo fu molto difficile e io fui l’unico tra i neofiti a percorrerlo tutto, indenne. Dopo qualche tempo mi dissero che mi avevano sottoposto a un esame e che lo avevo superato per cui da quel momento facevo parte del gruppo. Mi diedero il soprannome di bebè in quanto ero il più giovane. Lo porto ancora oggi. In effetti ero un ventenne tra trentenni, dei quali molti erano professionisti in carriera. Con i colori del nostro Moto club ho partecipato a moltissime gare acquistando moto di cilindrata sempre maggiore con i soldi che inizialmente guadagnavo lavorando con papà».

Poi smise. Perché?

«Ebbi un brutto incidente dal quale uscii miracolosamente illeso. Risalii sulla moto, ripresi a correre, scivolai nuovamente e solo per “mestiere” evitai l’impatto contro un albero. Montai nuovamente in sella, raggiunsi il traguardo, e misi la moto sul carrello. Mia moglie era incinta di due gemelle e dissi a me stesso che non avrei più corso: ho mantenuto la parola. Ritornai alla bici da corsa e iniziai a fare gare di granfondo che all’epoca erano lunghe dai 200 ai 250 km. Correvo in tutta Italia e mi portavo dietro moglie e figlie che si chiamano Claudia e Valeria. Oggi hanno 25 anni».

Intanto il suo lavoro aveva subito un’evoluzione importante.

«Ero passato alla manutenzione e riparazione del “cuore” dell’impianto: la caldaia. Costituisce l’apparecchiatura che realizza il passaggio di calore, per mezzo di combustione, di un liquido senza che avvenga la sua ebollizione, con lo scopo poi di distribuirlo opportunamente a un ambiente tramite l’impianto stesso».

Dopo poco ci fu una svolta nel suo lavoro. Da che cosa fu determinata?

«A fine ’88 inizi ’89 ci fu l’immissione sul mercato italiano dei primi condizionatori inventati dallo statunitense Willis Haviland Carrier. Papà e io intuimmo che stava per nascere un nuovo mercato con questa “macchina termica” e io andai a Bologna a fare dei corsi di formazione alla Mitsubishi Heawy Industries. Mi “specializzai” e divenni tecnico e assistente di condizionatori».

Può considerarsi un pioniere della manutenzione e assistenza di questo innovativo sistema di condizionamento dell’aria?

«In Campania certamente, tanto è vero che nel ’92-’93 iniziarono ad offrirmi mandati ufficiali di assistenza tecnica non solo sulle caldaie ma anche sui condizionatori senza che io ne facessi richiesta. Mi trovai, quindi, a operare su due settori. Nel 1992, poi, nacque una “storia d’amore” con il marchio leader in Italia di caldaie, l’Immergas, che dura tutt’ora. Ha sede in Romagna, a Brescello, paese di Peppone e Don Camillo. In giro si diceva che lavorassi bene e successivamente l’azienda mi offrì un contratto di lavoro a tempo indeterminato con un livello dirigenziale. Ne fui immediatamente entusiasta ma nel viaggio da Napoli a Brescello ebbi un ripensamento: ero sposato da un anno e mezzo, avevo 30 anni e non me la sentivo di mettermi in macchina il lunedì per ritornare a casa il venerdì. Quando fui ricevuto dal direttore commerciale per perfezionare l’assunzione, dissi che avevo cambiato idea e che avrei potuto sottoscrivere solo un contratto come collaboratore esterno. Non ho mai rimpianto la decisione di rinunciare all’impiego fisso anche se remunerato molto bene. Quella scelta, poi, si è rivelata vincente».

Ci racconti.

«Avevo creato la Casillo Clima ed ero partito con un piccolo ufficio e un deposito. Passo dopo passo l’azienda è cresciuta e oggi ho una nutrita squadra composta da collaboratori amministrativi e operai altamente specializzati, gli ultimi li ho presi “vergini” e li formati io in house».

Che cosa è nello specifico Casillo Clima?

«Un Centro autorizzato di assistenza per le caldaie a gas Immergas, per gli scaldacqua a gas Rinnai e per i condizionatori del marchio Mitsubishi. Siamo specializzati nella realizzazione di varie tipologie di impianti con uno sguardo sempre attento alle evoluzioni che sorgono sul mercato. Siamo, infatti, leader nella creazione di impianti solari termici, che forniscono agli edifici acqua calda sanitaria, attraverso l’energia termica ricavata dal sole e assorbita da speciali pannelli. Offriamo ai nostri numerosissimi clienti, tra cui anche palestre, centri sportivi, negozi, una vasta gamma di prodotti altamente tecnologici ed ecologici e ci facciamo carico della progettazione e della costruzione di impianti di condizionamento con pompa di calore, di climatizzazione con apparecchiature split system, nonchè di sistemi di riscaldamento radiante e termoidraulici. Molta attenzione viene dedicata, tra gli altri, a dispositivi per il trattamento dell’acqua, tutti di importanti marche».

Come persona fisica, a latere, svolge altre attività. Quali?

«Dal 2005 ho un contratto di docenza con Immergas per fare formazione ai dipendenti che l’azienda vuole assegnare al settore manutenzione/assistenza dei suoi prodotti e a quelli già specializzati che devono aggiornarsi. Spesso sono anche chiamato per affiancare il tecnico “interno” per interventi particolarmente difficili e vado in giro per l’Italia laddove c’è necessità».

Nonostante i molteplici impegni derivanti da un’attività così articolata e complessa, riesce a trovare il tempo per continuare a fare sport. L’ultimo è il triathlon. In cosa consiste?

«La passione per questa disciplina olimpica mi è nata nel 2010 nel Circolo Canottieri Napoli, nonostante non sia un bravo nuotatore. Si articola su tre discipline che si svolgono in successione e senza soluzione di continuità; esse sono comuni a tutti gli atleti e hanno un ordine fisso: nuoto, ciclismo e corsa. Lo pratico a livello amatoriale con grande entusiasmo e sono orgoglioso di essere consigliere di questa sezione sportiva nel sodalizio giallorosso. Guido il team secondo regole precise che riflettono anche il metodo di lavoro che uso nella mia azienda: spirito di squadra, armonia, competitività, onestà intellettuale e abnegazione con denominatore comune il sano divertimento».

Qual è il segreto del suo successo come imprenditore?

«Successo è una parola grossa. Certamente mi sono creato uno spazio importante e la mia azienda gode di notevole stima. Il mio “verbo” è creare il giusto rapporto con il cliente nel convincimento che l’empatia scatta o meno nei primi secondi dell’incontro. Questo i miei collaboratori lo hanno capito e hanno imparato che anche a Napoli si può lavorare con soddisfazione professionale».

Qual è l’obiettivo che persegue con il suo lavoro?

«Creare benessere ambientale secondo le aspettative e le esigenze di ogni singolo cliente».