Pasquale Verolino è medico chirurgo specializzato in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica. È dirigente medico presso l’Uoc Chirurgia Plastica dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. È autore di numerose pubblicazioni su riviste specializzate, nazionali ed internazionali. Dal 2003 è socio ordinario S.I.C.P.R.E(Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica) ed è iscritto al GMC (General Medical Council) di Londra. «Ho due fratelli più grandi, anche loro medici, e questo è motivo di grande orgoglio per noi e i nostri genitori perché siamo nati nel quartiere Ponticelli, zona di “frontiera” della Napoli orientale. In quel quartiere ho frequentato le scuole primarie. Siamo stati educati nel rispetto dei valori che contano veramente e abbiamo vissuto in maniera sana, evitando “scivoloni” che di tanto in tanto si potevano incontrare in quelle aree difficili della nostra città. I nostri genitori ci hanno inculcato i valori dello sport e della disciplina, insegnandoci a condividerli nella giusta misura con lo studio. Ho fatto basket, arti marziali, calcio, nuoto, sempre a livello amatoriale e spesso mi univo ai miei fratelli. Come loro ho imparato a suonare il pianoforte prendendo lezioni private per circa tre anni».

Perché scelse medicina?

«Inizialmente volevo diventare notaio perché lo studio delle materie umanistiche mi attirava molto, ma andavo molto bene anche nelle materie scientifiche. Mi sono diplomato con il massimo dei voti. A un certo punto, non so dire per quale ragione, cominciai a prestare attenzione ai discorsi che facevano in casa i miei due fratelli che studiavamo medicina. Vedevo il loro entusiasmo che diventava passione soprattutto quando parlavano delle loro esperienze con i pazienti che visitavano nei reparti. Gradatamente cominciò ad affievolirsi l’interesse per il diritto e aumentò quello per la medicina al punto che decisi che avrei fatto il medico. Risultai tra i primi 50 su circa 1.200 concorrenti all’esame d’ingresso alla facoltà e m’iscrissi al Primo Policlinico, a piazza Miraglia, oggi università “Luigi Vanvitelli”».

Come fu l’impatto con quella realtà che aveva vissuto, fino a quel momento, solo attraverso le esperienze dei suoi fratelli?

«Molto buono perché il corso di laurea era disciplinato dalla nuova Tabella 18, entrata in vigore pochi anni prima. Prevedeva la frequenza di corsi con delle prove in itinere e poi l’esame finale. Questo sistema consentiva di monitorare continuamente lo studente e i progressi che faceva nello studio di ogni singolo esame. Frequentavo quotidianamente e ho superato tutti e quattro gli esami del primo semestre e poi quelli del secondo. Il mio battesimo fu l’esame di chimica».

Scelse la Sun e non la Federico II. Come mai?

«Per motivi prevalentemente pratici, perché la frequentavano i miei fratelli e quindi potevo andare in macchina con loro. Laureati si sono specializzati entrambi in oculistica».

Alla fine del secondo anno si trasferì alla Federico II. Perché?

«Il tutorato era organizzato meglio e poi in prospettiva volevo fare la scuola di specializzazione in chirurgia ricostruttiva e plastica che alla Sun non c’era ancora. Avevo sempre pensato che avrei fatto il chirurgo piuttosto che il clinico. In particolare mi affascinava il pensiero di potere ricostruire parti del corpo danneggiate da infortuni o da gravi patologie. Avendo una media molto alta ebbi la possibilità di accedere subito a gruppi di studio e al programma di scambio internazionale Erasmus per studenti universitari. Andai all’Università di Parigi XII a Cretèil, frequentando per tre mesi la Chirurgia Generale diretta dal professore Fagnèz. Altri tre mesi li trascorsi, poi, alla Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica diretta dal professore Baroush. Sono stati sei mesi che hanno costituito un’esperienza fondamentale nel mio processo di formazione teorico e pratico. Ebbi accesso alla sala operatoria e alla sala settori per la prima volta. Fu un impatto molto duro che ricordo ancora oggi. Entrai prima nella sala settoria per l’autopsia del cadavere di una giovane donna devastata da una grave malattia. Il giorno dopo andai in sala operatoria per assistere a un trapianto di fegato. Il nosocomio parigino era un’eccellenza in questo tipo di interventi. A latere prendevo anche lezioni di francese per imparare almeno l’indispensabile per dialogare con i professori, i pazienti e i colleghi».

Al termine dei sei mesi ritornò a Napoli.

«Feci internato volontario per tutto il quinto e sesto anno con il professore Guido Molea, ordinario di chirurgia plastica della Federico II e direttore della scuola di specializzazione nella medesima branca chirurgica. Mi assegnò una tesi sperimentale dal titolo “Il trattamento delle piaghe da decubito con particolare riferimento alla VAC-Terapia” e nel 1998 mi laureai con lode. Nell’autunno dello stesso anno, superato il concorso di ammissione, mi iscrissi alla Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica della Federico II».

Mentre studiava ritornò in Francia. Per quale motivo?

«Avevo saputo da colleghi già specializzati che a Bordeaux c’era una struttura universitaria all’avanguardia nella chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica e chiesi al professore Molea se mi autorizzava a frequentare in quell’ateneo il terzo anno della scuola. Acconsentì. Sono stato assistente presso la divisione di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica dell’Università Bordeaux II “Victor Segalen” e assistente presso l’Unità Operativa di Chirurgia Plastica e Chirurgia Ricostruttiva Mammaria dell’Institut Bergonié sempre di Bordeaux. Direttore dell’epoca era il professore Baudet, famoso per essere stato il primo chirurgo in Europa ad effettuare una ricostruzione con trasferimento di un lembo microchirurgico. Ho conseguito tre Master: quello di Microchirurgia, quello di Anatomia Chirurgica della mano e quello di Anatomia Chirurgica dei lembi. Sono tornato nuovamente all’Università Bordeaux II “Victor Segalen” a fine 2003, dopo avere conseguito la specializzazione con lode alla Federico II. Ci sono rimasto per 8 mesi come assistente presso il Centro ustioni, dove ho eseguito centinaia di interventi sia in urgenza sia in elezione per la ricostruzione del paziente ustionato e per tre mesi come assistente in Chirurgia Plastica Estetica e Microchirurgia».

Ritornato in Italia che cosa ha fatto?

«Ho svolto la mia attività professionale in alcune delle piú importanti cliniche private di Napoli e Roma dove ho eseguito centinaia di interventi di chirurgia estetica. Poi nel 2006 ho vinto il concorso come Dirigente Medico di Chirurgia Plastica presso l’Asl Caserta 1. Dal 2008 al 2011 sono stato il responsabile della Chirurgia Plastica dell’ospedale di Teano dove ho eseguito molti interventi di chirurgia ricostruttiva, come chirurgia dei tumori cutanei, revisione di cicatrici patologiche e di malformazioni congenite, chirurgia della mano e ricostruzione mammaria. Quindi sono passato con la stessa qualifica all’ospedale di Maddaloni».

Poi è andato nuovamente all’estero.

«Sono stato in Inghilterra, come Consultant-Primario di Chirurgia Estetica presso cliniche di Londra e di Manchester dove ho svolto attività chirurgica, in particolare negli ambiti della chirurgia estetica del corpo, del volto e chirurgia intima».

Quindi rientro definitivo in Italia, almeno al momento...

«Dal 2016 sono Dirigente Medico dell’Unità Operativa Complessa (Uoc) Chirurgia Plastica dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e un giorno alla settimana eseguo interventi di chirurgia dei tumori cutanei».

Svolge attività privata?

«Sì, ho il mio studio privato perché ho un contratto di lavoro che me lo consente. Mi dedico prevalentemente alla chirurgia estetica».

Perché si ricorre a questo tipo di chirurgia quando non è ricostruttiva?

«Ci sono molte persone che vivono in uno stato di disagio perché non si accettano in alcune parti del corpo. Il nostro compito è innanzitutto capire se si è in presenza di un “paziente” che ha un disagio reale che incide negativamente sulla qualità della sua vita oppure viene da noi mosso da un capriccio o da una tendenza. È il momento più difficile da affrontare e il chirurgo estetico deve essere un bravo psicologo. Un discreto numero di persone che vengono al mio studio dopo il colloquio vanno via convinti che il loro disagio è dovuto a suggestione o a condizionamenti esterni che non hanno alcuna giustificazione oggettiva. Mi ringraziano e a distanza di tempo mi chiamano per dirmi di avere superato il problema e che hanno recuperato la migliore qualità della vita possibile. Per altre, invece, l’intervento è necessario».

Ha conservato la passione per lo sport?

«Non si perde mai, nonostante gli impegni di lavoro e familiari riducono molto gli spazi. Infatti sono sposato e padre di due splendide bambine. Nuoto, corro e gioco a tennis. Poi amo molto il mare e, insieme a mia moglie, quando è possibile, viaggiamo per conoscere altri luoghi e altre culture».