Si è formato all’Istituto d’Arte di Napoli con i professori Eugenio Visi e Francesco Galante. Dopo venti anni di esperienza maturata presso l’atelier di alta moda e sartoria teatrale “Maria Consiglio Fashion”, Vincenzo Canzanella (nella foto) nel 1975 ha aperto la “C.T.N.75”, la Costumi Teatrali Napoli 75. Ha lavorato per spettacoli teatrali, televisivi e cinematografici. Portano la sua firma, tra gli altri, l’abito bianco di organza e merletti che indossa Claudia Cardinale nella scena del ballo de “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, gli abiti della Loren de “Il Viaggio” di De Sica, quelli di Audrey Hepburn di “Vacanze Romane”, quelli di Marcello Mastroianni e Jack Lemmon per “Maccheroni”, i costumi di tutta la “Scarpettiana”, della “Cantata dei Pastori” alla Rai di Napoli, quelli di tutte le commedie di Eduardo De Filippo. Nel 2015 gli è stato conferito il titolo di Maestro Artigiano. «Sono nato a Pannarano in provincia di Benevento da padre napoletano e madre sannita e, insieme a una mia sorella, ho vissuto con i nonni materni fino all’età di dodici anni. Eravamo sette figli, quattro maschi e tre femmine e papà, perduto il posto di ferroviere per motivi politici, si arrangiava a fare il pittore nelle chiese napoletane. Nonno aveva una salumeria e io dopo la scuola lo aiutavo nella bottega. Ho sempre avuto compassione per i miei amichetti che vivevano in condizioni di bisogno e, quando potevo, li aiutavo regalando loro quello che riuscivo a prendere di nascosto dal negozio. Un giorno nonno se ne accorse e mi diede uno schiaffo. Mortificato e addolorato per il suo comportamento decisi di ritornare definitivamente a Napoli dai miei genitori. Dopo circa due anni mio padre morì e noi fratelli e sorelle dovemmo metterci a lavorare per far fronte alle esigenze familiari».

Che cosa fece?

«Risposi a un’inserzione letta nei “mosconi” del Mattino con cui si cercava un apprendista nella sartoria di alta moda di Maria Consiglio Picone, la “Maria Consiglio Fashion” di piazza dei Martiri, al civico 30. Era il 1954 e cominciai a lavorare a quindici anni come factotum, unico maschio in mezzo a 54 sarte, in un ambiente frequentato dalla migliore aristocrazia partenopea».

Si trovò a disagio?

«Imparai presto come dovevo comportarmi con la nobiltà. Erano signore eleganti e raffinate e nei miei confronti erano sempre cortesi anche se mantenevano le dovute distanze. “Noblesse oblige” mi sussurravano le sarte e io mi adeguavo. Dopo qualche mese incontrai per la prima volta il grande maestro Eduardo De Filippo. Doveva portare in scena il suo libero adattamento di “Pulcinella in cerca della sua fortuna per Napoli”, di Pasquale Altavilla, e poi il “Contratto”, su bozzetti disegnati da Renato Guttuso. Divenne cliente dell’atelier. Era un uomo di poche parole e m’incuteva timore anche se ero un ragazzino abbastanza disinvolto. Nel tempo capii che era un uomo di grande carisma. Quell’incontro segnò l’apertura dell’atelier al mondo del teatro, del cinema e della televisione».

A cavallo tra fine 1954 e inizio 1955 fece il suo “ingresso”, sempre come apprendista, al San Carlo. In quale occasione?

«Il regista Roberto Rossellini portava in scena “Santa Giovanna” con Ingrid Bergman. Rimasi stordito dalla bellezza del Massimo napoletano non immaginando neanche lontanamente che dopo qualche anno sarei diventato “uno di casa”».

Quando iniziò a dare un contributo specifico nel lavoro della sartoria?

«Con l’“Aida” che andò in scena all’Arena Flegrea nel 1961. Maria Consiglio mi affidò la tintura delle stoffe. Era un’operazione delicata che richiedeva massima attenzione e mi sentii molto gratificato per l’incarico. Conservo ancora alcune pezze di quei tessuti».

E i primi punti di cucitura?

«Con i costumi dell’opera “Elisa e Claudio “ al San Carlo. Per me fu un momento di grande emozione perché si era aperta la strada che mi avrebbe portato all’affermazione professionale come sarto. I costumi che confezionammo piacquero molto al proprietario del Quisisana di Capri. Disse a Maria Consiglio che gli avrebbe fatto piacere averli in esposizione nel suo albergo in occasione di un importante evento che si sarebbe svolto dopo qualche giorno».

La stilista accettò l’invito?

«Sì e la sera della manifestazione rimanemmo a bocca aperta per lo stupore perché all’improvviso sentimmo una dolce musica orientale e dall’alto dello scalone del Quisisana scesero lo Scià di Persia, Reza Pahlevi e la regina Soraya che divenne anche lei cliente dell’atelier. È stata una delle donne più affascinati che ho contribuito a vestire».

Questo evento ebbe molto clamore sui media dell’epoca e un altro importante personaggio del mondo arabo divenne cliente dell’atelier. Chi era?

«Il re dell’Arabia Saudita. Era ospite dell’Excelsior con le sue dodici mogli. Volle che confezionassimo un abito per ciascuna delle sue spose. Anche quegli abiti sfilarono al Quisisana. In quell’occasione entrai ufficialmente come sarto anche nell’alta moda».

Intanto a viale Marconi era in fase di ultimazione il Centro di Produzione Rai. Nel frattempo, i primi spettacoli venivano trasmessi dal teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare. L’atelier fu protagonista anche in quell’occasione. Perché?

«Preparammo gli abiti e i costumi per il primo spettacolo prodotto dalla Rai di Napoli. Era un musical condotto da un giovane Pippo Baudo con personggi che indossavano costumi tradizionali di molte nazioni del mondo. Si chiamava “Piribò” e andava in onda alle ore 17 per un pubblico giovane».

La “Maria Consiglio Fashion” cresceva in prestigio e clientela e lei le teneva il passo al punto che diventò il numero uno dell’atelier.

«Ero l’uomo di fiducia di Maria Consiglio che gradatamente mi affidò la responsabilità gestionale dell’intera sartoria e anche della boutique “Maria Consiglio Sport” che si trovava a via Carlo Poerio, angolo piazza dei Martiri. Allora i negozi restavano aperti più a lungo e io facevo la spola tra l’atelier, che chiudeva alle 20, e la boutique che restava aperta fino a mezzanotte, soprattutto nel corso delle festività. Spesso invitavo le clienti della boutique e dell’atelier al famoso Bar Cristallo che occupava due locali dove attualmente c’è Ferragamo, vicino all’ingresso di Palazzo Partanna. Era frequentato da tutta la Napoli “bene”».

Ricorda una cliente in particolare?

«La marchesa Anna Sersale, proprietaria dell’albergo Sirenuse di Positano. Conosceva i migliori esponenti dello show business dell’epopca. Suo fratello, poi, aveva sposato una dama di compagnia della regina Elisabetta II d’Inghilterra per cui il Sirenuse era luogo di incontro anche della migliore aristocrazia italiana e internazionale. La clientela aumentava e gli affari andavano a gonfie vele. Le mie ore di sonno, invece, diminuivano sempre e il mio impegno lavorativo aveva orizzonti sempre più ampi».

C’è un episodio che la lega a Maria Callas. Ce lo ricorda?

«La grande soprano nel 1963 mi chiese una mise per alcuni concerti che doveva tenere al San Carlo. Era una donna di altissimo livello e molto socievole ma era angustiata dal fatto che pesava 106 chili. Mi ripeteva sempre: “Vincenzo, mi raccomando: fammi magra!”. Le realizzammo un abito nero e blu a forma di pavone, abbellito con vetro e paillettes del peso di 6 chili. Impiegammo un mese e mezzo di lavoro ma dalle nostre mani uscì un vero capolavoro che lasciò l’artista stupefatta. L’abito riuscì anche ad “affinare” la sua linea, come mi aveva chiesto».

Quando decise di mettersi in proprio?

«Nel 1975 Maria Consiglia volle abbandonare l’attività e si trasferì nel senese dove aveva acquistato un agriturismo. Avevo maturato venti anni di esperienza ad altissimo livello e mi sentivo pronto per ralizzare un laboratorio tutto mio. Rilevai quel poco che la mia “maestra” aveva lasciato e aprii la prima sartoria a via Gennaro Serra 75 e fondai la “C.T.N. 75”. Vennero con me alcune sarte della “Maria Consiglio Fashion” e altre le assunsi».

Dove “debuttò”?

«Al teatro Manzoni di Roma con i costumi per uno spettacolo che era la parodia di un musical. Fu un esordio molto positivo e ben presto la mia sartoria, unica per la realizzazione di costumi teatrali, iniziò a essere frequentata dai migliori artisti. Il locale diventò insufficiente e mi trasferii a via Nuova Pizzofalcone. Acquistai un immobile molto grande accendendo un pesante mutuo bancario».

Fu l’inizio del suo periodo d’oro favorito da un artista. Come si chiama?

«Leopoldo Mastelloni. Diventò mio cliente e ben presto carissimo amico fraterno. Mi portò alla “Bussoladomani” di Viareggio dove portava in scena “Carnalità”. Una giornata era dedicata allo spettacolo “Una rosa per tutti” realizzato da Delia Scala e Giulietta Masina al quale erano invitati i più grandi attori del cinema e del teatro. Naturalmente fu ospite anche Leopoldo che mi volle con lui. Conobbi, tra i tanti, Teddy Reno e Rita Pavone, Caterina Valente, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Marcello Mastroianni con la moglie, Don Lurio con i suoi ballerini. Dopo lo spettacolo, alle quattro del mattino, andammo tutti a mangiare in un famoso ristorante. Ricordo che su consiglio di Leopoldo avevo portato tutto l’occorrente per fare aggiusti, in caso di necesità, agli abiti degli ospiti. Li feci e fu il mio trampolino di lancio».

Poi, però, questo boom finì. Per quale motivo?

«La Guerra del Golfo aveva determinato una crisi economica a livello mondiale. In Italia ebbe pesanti conseguenze anche sul mio lavoro. Dovetti vendere lo stabile perché non potevo più pagare le rate del mutuo e mi trasferii in via Solitaria 39 in affitto. Mi portai dietro i miei 8mila costumi. Il lavoro cominciava a diminuire anche se riuscii a realizzare cose importanti. Feci una mostra internazionale del costume all’Opera di Pechino in Cina, un’altra mostra internazionale a Barcellona e confezionai gli abiti per “Les saltimbanques” in scena al teatro di Toulouse in Francia. Lavorai per il Teatro Regio di Parma, per Il Piccolo di Milano, La Fenice di Venezia, il Teatro Valli di Reggio Emilia. Poi andai a Losanna, in Svizzera, e a Helsinki, in Finlandia, con la Mostra del Costume “la Muta di Portici”».

Poi dovette lasciare anche via Solitaria.

«Il proprietario mi chiese un aumento dell’affitto mensile che non potevo permettermi. Ebbi la solidarietà del sindaco Luigi de Magistris e fu nominata una commissione ad hoc per trovare un locale da destinare a museo per i miei costumi che erano diventati oltre 10mila. Mi fu offerto come “sede provvisoria” un appartamento al quarto piano di uno stabile a piazza Sant’Eligio di proprietà del Comune. Dovetti metterlo in sicurezza a mie spese. Nonostante abbia chiesto in continuo la stipula di un regolare contratto di fitto, non sono mai riuscito a ottenerlo e oggi sono sotto sfratto. Della sede definitiva non se ne è più parlato. Ora mi sono affidato alla sensibilità del presidente De Luca perché mi aiuti a trovare una collocazione decorosa per i miei costumi che rappresentano un inestimabile patrimonio artistico e culturale che corre il rischio di andare distrutto».

E la sartoria?

«Da via Solitaria l’ho trasferita in via Casciaro al Pendino, poco distante da piazza Sant’Eligio. Pago un affitto ma non so fino a quando potrò farlo perché è un anno che non mettiamo “un punto”».

Nonostante le grandi difficoltà ha continuato a prestare attenzione per il teatro amatoriale. Perché?

«Ho incontrato teatranti per passione di grande talento e mi ha sempre fatto piacere vestirli per la scena. Tra questi ricordo in particolare Peppe Sole, che è stato funzionario del Banco di Napoli. Lo conosco da circa quarant’anni. Ha nel dna l’arte della recitazione e della regia e, sia come dirigente e poi presidente del Cral del Banco che come socio del Circolo Canottieri Napoli, ha creato compagnie con attori che hanno rappresentato spettacoli di tradizione con bravura e professionalità».

Oggi come vive?

«Forse è il caso di dire come sopravvivo. Io, mio figlio Davide e l’amato cane Filippo tiriamo avanti con i corsi di alternanza Scuola-Lavoro. Gli studenti che li frequentano la mattina vanno a scuola e il pomeriggio vengono da noi per imparare il mestiere».