Figlio d’arte, suo padre era l’illustre avvocato Francesco Saverio Siniscalchi, Vincenzo Maria Siniscalchi (nella foto) è persona eclettica che ha dedicato la sua vita all’amore per il diritto coltivando “a latere” molteplici interessi. Giornalista pubblicista, è stato componente della giunta esecutiva della Federazione della Stampa. È cinefilo ed è stato critico cinematografico. Ha collaborato alla realizzazione di film e sceneggiati televisivi. È stato parlamentare dell’Ulivo per undici anni, presidente di molte commissioni e presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. È stato eletto, dalle Camere riunite, componente laico del Csm per il quadriennio 2006-2010.

«Sono nato e vivo a Santa Lucia ma la famiglia Siniscalchi ha origini a Venosa, la patria di Orazio, nel melfese. Mi piace ricordare che stiamo conversando nello studio di mio padre, un Maestro del Foro finito per un investimento stradale nel 1966. Amava passeggiare la sera sul lungomare per poi studiare i processi fino a notte alta. Era amato e rispettato da tutti anche per la sua intransigenza morale! Gli è stato dedicato un busto nel Salone di Castel Capuano dove sono scolpiti nel marmo gli avvocati e i giuristi che più hanno onorato la storia dell’antico foro partenopeo. Il busto fu inaugurato nel 1972 alla presenza del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Vicino a piazza Enrico de Nicola c’è anche una strada intestata a Francesco SaverioSiniscalchi. Quando morì ero molto giovane e questo accelerò il mio radicamento nella professione».

 Nella scelta della sua professione le diede un importante indirizzo?

«Sì più volte mi diceva: “fai le tue scelte in assoluta indipendenza nei confronti del mio percorso perché non c’è cosa peggiore di tentare una riproduzione di quello che invece si può migliorare”. Questo suo monito mi ha consentito di impegnarmi anche in altri campi e di privilegiare anche il mio eclettismo, quello culturale, cinematografico, giornalistico e istituzionale ».

Ha avuto anche un percorso come assistente universitario...

«Ho seguito per anni un altro maestro alla cattedra di Istituzioni di Diritto Romano: Antonio Guarino. Ricordo che avevo molta difficoltà ad applicare le rigide regole degli esami. Lui mi diceva: “Non si preoccupi, lo so che lei indulge allo spirito francescano forse perché ha preso molto dalla gentile Signora Fanny Ferrante, sua madre. Si può essere indulgenti anche nella severità” aggiungeva. Ho frequentato la cattedra di Diritto Penale nel periodo del passaggio del prof. Remo Pannain al prof. Enrico Contieri».

Da giovane avvocato ha fatto un’esperienza particolare...

«Fu l’esperienza che mi convinse a coltivare l’impegno nella professione. Una volta in Tribunale si facevano i Premi di Eloquenza. Affrontai il Premio Rossi, (un giovane e valoroso professionista morto prematuramente), e poi quello di grande tradizione intestato a Nicola Amore. Consisteva in un simulacro di dibattimento. Io facevo il difensore. Piacque il mio modo di discutere impegnato in una eloquenza dialettica e ispirata alla concretezza. Mi costruii un metodo che definiva l’eloquenza come “arte di una tecnica” il linguaggio era comunicazione. Vinsi alla presenza dei grandi Porzio e De Nicola».

Quanto è stato importante questo suo modo di pensare?

«Mi collegava direttamente agli interessi di una cultura che si evolveva ed alla civiltà dell’immagine che avanzava proprio in quei decenni. Peraltro la frequentazione anche dei festival cinematografici, di Venezia in particolare, mi favoriva in questa sintesi comunicativa collaborando col “Mattino”, “Il Corriere di Napoli”, “Napoli Notte”, “Paese Sera”».

Poi la tragica morte di suo padre.

«La folgore che stroncò la sua vita riunì in questo antico studio una folla di amici, colleghi, personalità, magistrati che mi “misero” addosso la sua toga dicendomi: “devi continuare dove il tuo genitore ha lasciato”. Ridussi gli interessi alternativi e mi calai in pieno nella professione che mi attraeva, pur nella sua durezza, per il mondo variegato della casistica giudiziaria e del suo risvolto sociale. Ho assistito innocenti e colpevoli, donne e uomini, poveri e potenti, professionisti, politici, capi di governo, attori, registi, giornalisti, sacerdoti, grandi gruppi industriali accusati di reati economici, finanzieri, banche, campioni dello sport, società calcistiche. Tante volte ho sostenuto il ruolo della parte civile in processi di natura sociale. Questo caleidoscopio mi si affolla a volte nella mente e mi rende soddisfatto di tutte queste impareggiabili esperienze di vita in tantissimi tribunali italiani ed a volte all’estero. Ho vissuto anche, come difensore, la difficile stagione del terrorismo assistendo in Italia e in Germania numerosi appartenenti ai gruppi di rivolta armata. Devo dire che in quella stagione elaborai le esperienze di un garantismo come regola assoluta di garanzia e dei diritti delle parti nel processo e non regole per presidiare solo i diritti di qualche privilegiato ».

Ha fatto anche parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del foro di Napoli.

«Sono stato eletto consigliere più volte e presidente del Consiglio dell’Ordine. Per quel ruolo sono stato impegnato in congressi giuridici forensi dove ho lanciato l’idea del potenziamento degli avvocati non solo sul piano professionale ma anche su quello di una interlocuzione nel mondo sociale e politico. Penso che gli avvocati devono difendersi come categoria, ma devono cercare di trasformare i valori tradizionali dei quali sono giustamente orgogliosi, anche in forme di presenza diversa nella società che cambia con una impressionante velocità ».

Ha dato un contributo alla riforma dei codici penali.

«Nel 1989 c’è stato quel cambiamento profondo del codice di procedura penale, nel quale molto ho creduto. L’introduzione della “cross examination”. L’esame incrociato di imputato, testimoni, periti da parte del pm e della difesa con l’acquisizione della prova in dibattimento, ha reso il sistema quasi accusatorio, determinando la fine di quello inquisitorio che pure aveva avuto maestri insuperati di eloquenza soprattutto nella prima metà del ventesimo secolo».

Com è la professione di penalista

«Totalizzante. Tranne i processi che riguardano reati di natura economica, dei quali più mi interesso ora (e che si possono trattare in equipe), la difesa va ancora fatta in prima persona per un controllo diretto del dibattimento. Non bisogna risparmiare nessuna energia».

È un cinefilo e un apprezzato critico cinematografico. Ma non solo…

«Ho sempre curato gli interessi culturali e vagamente in me forse c’era anche l’idea della regia. Anche lì ho cercato sempre la via delle innovazioni aprendo negli anni Sessanta ai paesi dell’Est, che nella particolarità della loro condizione politica, esprimevano tuttavia valori importanti. Altro grande riferimento era il mio fraterno amico padre Casolaro, direttore del cineforum dei Gesuiti e serio studioso di cinema. Ho partecipato a sceneggiati televisivi di notevole interesse come consulente in materia di celebri casi giudiziari».

Ha conosciuto molte persone del mondo del cinema, del teatro e della cultura in generale. Tra queste a chi è legato maggiormente?

«A Gigi Proietti. Siamo molto amici. È un grande! Con lui e con Vittorio Gassman ho passato momenti indimenticabili. Sono sempre amico e avvocato di Tinto Brass, di Vanessa Redgrave. Sono stato anche vicino a quel gruppo di scrittori napoletani di cui facevano parte Rea, Compagnone, Pomilio, Prisco. A quell’epoca conobbi Pier Paolo Pasolini. Stimo molto Maurizio De Giovanni e Gianrico Carofiglio. Amo i classici della letteratura mondiale».

È cambiato il cinema contemporaneo?

«Sicuramente molto per la tecnologia. È vero che il cinema di riferimento è stato quello del neorealismo e dei grandi Antonioni, Visconti, Fellini, De Sica, Rosi, ma oggi, per esempio a Napoli, abbiamo importanti registi e autori. Tra questi Sorrentino, di ispirazione narrativa molto originale, Martone più legato a vicende sociali, storiche, culturali, Pappi Corsicato. Ho sempre molto ammirato Marco Bellocchio, Nanni Moretti, Paolo Virzì».

Quando ha incrociato la politica attiva?

«Ho avuto sempre la passione per la conoscenza della politica in senso lato. Poi c’è stata la stagione dei sindaci nel 1993 e il cambiamento del sistema elettorale con il collegio uninominale del Mattarellum nel 1994. Si poteva confrontare meglio la propria posizione portando valori della società civile. Mi venne offerta la possibilità di competere nel collegio di Vomero- Chiaia-Posillipo, che era dato come perso perché c’erano esponenti della destra molto forti ed autorevoli».

Creò la coalizione di centrosinistra “Per la Napoli che vogliamo” e vinse.

«Con uno scarto che ho mantenuto anche per le elezioni successive, fino al “Porcellum” del 2006. Il logo che avevamo elaborato per le “suppletive” sarebbe diventato quello dell’Ulivo di Romano Prodi, esperienza davvero importante per l’Italia».

Che cosa hanno significato per lei questi undici anni di attività parlamentare?

«Non sono stato entusiasta per l’esperienza politica in sé, ma ho sempre privilegiato la responsabilità istituzionale. Sono soddisfatto invece per la passione parlamentare che ho potuto spendere con impegno nazionale e territoriale ».

Il maggiore contributo che ha dato in questa attività?

«Ritengo di averlo dato come relatore della riforma di norme importanti del processo penale, in quella del reato di abuso di ufficio, in alcune leggi sull’anticorruzione e nella partecipazione a tanti lavori legislativi».

Cambia il sistema elettorale. Arriva il Porcellum e lei non ci si ritrova più. Che cosa accadde?

«Evitai il parlamento dei “nominati” ed optai per il ruolo di componente del Csm; fui eletto a grande maggioranza dai due rami del Parlamento in seduta congiunta».

Qual è il suo giudizio sul Csm?

«È un organismo particolare di rilievo costituzionale con un pluralismo che è importante e comunque assicura un dibattito elevato anche sui problemi della giurisdizione. Contiene entro opportuni limiti il “correntismo” che pure c’è. È fondamentale il ruolo del Csm per definire l’applicazione delle norme costituzionali sull’autonomia e indipendenza, anche interna, della magistratura. Ho conosciuto a fondo tematiche di interesse organizzativo su cui si reggono i complessi rapporti degli uffici giudiziari. Ripeto: “correntismo” o meno, il dibattito con il coinvolgimento pieno dei “laici” (che io ho definito “diversamente togati”) è un dibattito sempre articolato e documentato. Importante è il ruolo dei magistrati segretari e del comitato scientifico. Una esperienza che ha arricchito il mio campo di conoscenza anche in Europa».

Da parlamentare e uomo di cultura, una sua valutazione sulla situazione in cui versa oggi il Paese e Napoli in particolare?

«Non siamo soli in Europa ad attraversare momenti di incertezze politiche, con le inevitabili ricadute sociali ed economiche. La Merkel, che è la leader di una nazione che ha interpretato l’Europa in maniera completa, ha difficoltà a fare il governo con determinate forze politiche come lei sperava. In Spagna, la destra di Mariano Rajoy è ritornata ed è stata riconosciuta valida, ma sulla Catalogna si è aperta una questione grave. La Grecia, dopo l’esperienza Tsipras, ha dovuto frenare. L’estrema destra xenofoba antieuropeista cresce dappertutto. Dovunque è in crisi, e me ne dolgo, anche la sinistra riformista».

Perché?

«C’è una crisi profonda e generalizzata della democrazia rappresentativa che ha come denominatore comune l’assenteismo. Dalla gente comune c’è una sorta di distacco dalla politica perché la politica stessa si è allontanata dalla vita sociale e dalla interpretazione dei bisogni della gente».

Il rimedio?

«Occorre che i partiti assicurino la loro presenza vicino al cittadino e non solo in termini elettorali».

Quanto è responsabile la dirigenza politica?

«È insufficiente e autoreferenziale. Ciascuno cura le sue particolari conventicole ».

Quanto è stato determinante, come si sostiene dai più, il venire meno delle ideologie all’indomani della caduta del muro di Berlino?

«Non è accettabile questo “diktat” a meno che non si faccia riferimento a quelle rivoluzionarie e autoritarie. L’ideologia come sistema di idee, di programmi e quindi capacità di realizzarli, è fondamento della politica intesa come governo. Macchiavelli insegna ».

E per quanto concerne Napoli? È realmente un paradiso abitato da diavoli?

«C’è una forte opacità nella cultura sociale dei napoletani che porta a una silenziosa acquiescenza a dei modelli che stanno pervadendo soprattutto il mondo minorile, dalle stese alla “movida”. Il napoletano non ha mai fatto una endorivoluzione culturale. Non è mai troppo tardi per farla. Non si può pretendere di delegare tutto alle istituzioni ».

L’importanza di Marinella De Nigris nella sua vita come moglie e come avvocato?

«Fondamentale in entrambi i ruoli. È fortemente sensibile alle tematiche sociali, non solo nel campo delle donne. Ha un ruolo davvero magistrale soprattutto nei processi per reati societari, economici e di pubblica amministrazione. Segue ogni aggiornamento con cura accompagnata da “team” di collaboratori esemplari. Abbiamo fatto insieme tanti processi. Ci sono oltre venti anni di differenza tra me e lei e quindi, cultura ed esperienze intellettuali diverse dalle quali ho tratto grandi insegnamenti e queste cose le dico con sentimento sincero. A questo proposito aggiungo che ho avuto tanti collaboratori che si sono formati nel mio studio ed oggi sono avvocati affermati e rispettati da tutti».