La mostra che Antonio Ciraci presenta nella galleria romana della “Nave di Noesis” consente di osservare una larga campionatura di “Ritratti” eseguiti dall’artista napoletano con l’intento di fissare in modo dirimente i tratti distintivi di persone da lui conosciute, assumendone le fattezze individuali a marcatura emblematica di una condizione umana di cui giova fissare, attraverso la pregnanza dei volti, la ricchezza di una “memoria storica”. Presentata da Francesco Abbate, questa mostra propone una carrellata di ritratti che si definiscono nella loro cruda espressività, costruiti con maestria e pazienza, andando alla ricerca, l’artista, della singola piega del volto, dello sguardo corrucciato, della inarcatura dello sguardo, per poter lasciare emergere con immediatezza d’impatto visivo la carica morale che ciascuna figura conserva (nella foto un’opera dell’artista). Sono volti cui potrebbe essere possibile assegnare delle “storie” individuali, avendo certezza di poter riassumere, nelle singole “storie” di ciascuno, la grande “storia” di tanti, quella, cioè, di molte figure che, pur portatrici ciascuna di un proprio carico di esperienze di vita, sono tutte, però, accomunate in una sorta di destino che non si rassegna d’essere di massa, avendo desiderio di riconoscersi come comunità. La carica materica, messa in evidenza dalla delibazione di Antonio Ciraci, si esalta come cifra distintiva di una condizione creativa in cui la forza convincente della referenza oggettuale si costituisce in testimonianza di una gestualità che, opportunamente infrenata, comprime l’istintualità eslege della esuberanza “informale” nei limiti della normazione consapevole e distinta. Forse, Gesualdo Bufalino, avrebbe riconosciuto in questi “Volti” di Antonio Ciraci una metafora del suo “Museo d’ombre”; ed altrettanto Lee Masters dei suoi ineffabili personaggi, ma noi preferiamo vedere in questi volti l’immagine di noi stessi, delle nostre radici, plurime ed ancestrali; e questo ci conforta.