Il Palazzo marchesale dei Carafa ospita la collezione d’arte contemporanea del Museo di Tortorella in una raccolta che, ordinata da Francesco Abbate, fornisce documentazione dell’arte campana e meridionale del secondo ‘900. Diciamolo con netta schiettezza: la produzione artistica campana del ‘secolo breve’ non ha una sua consistente e convincente profilatura di racconto museograficamente storicizzato, che sia ragionevolmente rappresentativa del suo completo sviluppo. Se si rende ragione di poche istituzioni a tanto votate (Capodimonte, San Martino, Sant’Arpino, Santa Maria Capua Vetere, Teora - forse qualche altra sede ci sfugge) per il resto si apre il vuoto. Ed ecco, allora, che iniziative come quella assunta a Tortorella si rivelano preziose anche perché, come nel caso in ispecie, esse appaiono governate da un progetto di “museo in cammino” che si propone interessante non solo per gli aspetti “storiografici” che egregiamente enuclea, ma anche per il taglio metodologico che promette di essere particolarmente intrigante e fruttuoso, giacché, come suggerisce il suo mentore, Francesco Abbate, esso dovrebbe rivolgersi a “raccontare… temi come il paesaggio, il ritratto, la fiaba, il mito… fulcri principali dell’avanguardia napoletana” (nella foto un’opera esposta di Luigi Magli). In aggiunta, il taglio ordinamentale che ispira l’intendimento di Francesco Abbate si rivela stimolante non solo sotto il profilo “museografico” - con il particolare privilegiamento “tematico” paesaggistico e ceramico - ma anche per le aperture “museologiche” che tutto il progetto dischiude, andando ad aprire un dibattito di estremo interesse sul “senso” - direbbe Frege - dell’istituzione museale di arte contemporanea e sul suo ruolo. Avere avuto qualche esperienza personale di direzione di più d’una istituzione museale di arte contemporanea ci convince a riconoscere nella linea inaugurata a Tortorella un “modello” ed un “modulo” di assoluto interesse.