Si chiamava Concettina Punzo, era alta circa un metro e mezzo; il suo abito, fuori da ogni logica di moda, mostrava evidenti i segni di usura, lasciati da decenni di uso continuo. Dalla sua esile figura, traspariva lampante un segno di nobile e lento decadimento. Nel nostro paese (San Giorgio), era conosciuta come “ ’a signurina d‘’o cuttone”. Vestiva un abito di una foggia bizzarra; nero con pizzo e merletti, che gli arrivava fin oltre le caviglie; ai piedi delle vecchie scarpine coi tacchi, sui quali poggiava la sua personcina minuta ma, indiscutibilmente, dignitosa; il viso, solcato da numerose rughe, tra le quali risaltavano gli occhi di una dolcezza incredibile; sul capo, un cappellino basso e schiacciato, con sopra un mazzolino di fiori finti ed uno spillone di avorio che lo fissava ai capelli; alle mani, minuscole e grinzose, dei guanti neri di merletto traforato; sull’avambraccio sinistro il manico di un ombrellino di seta, con svolazzi di merletti sfrangiati in più punti. Con la mano destra, trascinava una borsa che, una volta aperta, si trasformava in una sorta di bazar, scatole e barattoli contenenti le cose più disparate: chiusure lampo, stringhe per scarpe, ferretti per capelli, applicazioni di pizzo, aghi, spilli e spagnolette di cotone di tutti i colori; sull’esterno di ogni scatola, vi era scritto, con grafia dal tratto elegante, il nome del contenuto. La signorina, andava casa per casa a proporre gentilmente la sua merce “per favore vi occorre del cotone?” soleva dire e, quel suo “per favore”, era come sussurrato… bisbigliato, con lo sguardo abbassato, mentre con la mano fingeva di aggiustarsi il cappellino; retaggio forse di nobiltà sopita. Non chiedeva alla vita più di quanto le bastasse. A fine giornata, rientrava nel suo striminzito basso in via Lanzara; l’arredo era composto da un piccolo letto con spalliere in ferro ed un comodino dove riporre la sua mercanzia; all’esterno, coperta da una tettoia in lamiera, una fornacella, sulla quale, “’a signurina d‘’o cuttone” preparava la sua frugale cena, fatta quasi sempre di poco latte e tanto orzo. Chissà, forse quando il Signore la chiamò a sé, tentò di sussurrare, aggiustandosi il cappellino, “per favore, non sgualcitemi il vestitino”. Chissà perché ci è tornata alla mente questa “nobile figura”. Se vede ca ce stamme facenne viecchie. Vi salutiamo con uno speciale augurio a tutti i Gennaro. Alla prossima.