Noi ragazzi degli anni ’50, finite le scuole, non ci armavamo di smartphone e trolley, diretti in Grecia, Olanda o States, dove trascorrere le nostre tanto attese vacanze… macchè. Le nostre erano vacanze “bellissime”, pur non spostandoci dal nostro paese. Per noi esse significavano non studiare, vedersi ogni giorno ed a tutte le ore con gli amici, giocare con loro fino al tramonto, inventarsi giochi, rincorrersi, arrampicarsi su un muretto e rubare pere da un albero, correre dietro al camion che innaffiava le strade fino ad inzupparci tutti, calpestare le aiuole davanti al municipio per farsi rincorrere dal vigile, suonare la campanella di un’abitazione e scappare, riposare il pomeriggio sul fresco pavimento di casa, attraverso la persiana socchiusa, spruzzare acqua, con una pompetta, sulla gente del palazzo; poi tutto questo ebbe fine un primo luglio quando, tutti noi ragazzi destinati alla colonia, venimmo riuniti in un grande salone a Napoli, dove ci insegnarono questa canzoncina: Do do do domani me ne vado - Re re re respiro l’aria pura - Mi mi mi mi voglio divertire - Fa fa fa facendo quel che voglio - Sol sol sol soltanto mi dispiace - La la la lasciare la mia mamma - Si si si si si la lascerò - Do do do domani me ne andrò. Ed infatti, il giorno dopo, con la divisa ed il cappellino bianco, montammo sul treno della Cumana diretti a Torregaveta. Una volta giunti, ci fecero mettere in costume e giocare sulla calda sabbia, con il mare a due passi da noi ma, guai ad avvicinarsi; costruimmo e disfacemmo decine di castelli, sempre con gli occhi fissi sulle onde spumose che si dissolvevano sulla riva, mentre i nostri vigilatori si concedevamo tuffi e nuotate; finalmente alle 11 e 30, ci fecero disporre in fila per due e, comandati da un fischietto, ci fecero entrare in acqua dieci per volta e per non più di cinque minuti. Dopodichè, asciugati e cambiati, sempre in fila per due, ci fecero cantare questa canzoncina: Andiamo a tavola compagni cari - È giunta l’ora del desinare - Com’è buona la minestra che ci danno alla colonia - È contenta la direttrice come pure il direttore - Tutt’insiem Tutt’insiem - Andiamo a tavola a mangiar. Il pomeriggio, volenti o nolenti, dovevamo riposare due ore; poi altri cinque minuti immersi nel mare, la merendina consistente in un panino con formaggino e si rientrava a Napoli. Questo supplizio chiamato “colonia”, durò fino al 31 luglio. Il primo giorno di “libertà” ci ritrovammo tutti nella piazza del paese e, in dieci minuti, riuscimmo a suonare le campanelle di diverse abitazioni, a calpestare le aiuole, a sezionare una lucertola ed a rubare alcune pere da un albero oltre un muretto. Le nostre vacanze erano “Finalmente” cominciate. Alla prossima.