La fila è lunga. E mò?, dove trovo la pazienza di aspettare? La signora avanti a me (giusto un metro di distanza) ripete a memoria la lista della spesa per paura di dimenticare qualcosa. Sa bene che la prossima occasione si ripresenterà tra una settimana. Mi guardo attorno e vedo signori compassati, il volto coperto da mascherine, attendere in fila con una calma che in altri momenti non si sarebbero mai sognati di avere. Riconosco l’inquilino del terzo piano, che solitamente attacca briga con tutti per motivi stupidi: l’auto posteggiata dieci centimetri fuori dal limite del posto assegnato o la goccia d’acqua che inevitabilmente, quando innaffi, cade sul suo balcone curatissimo e mai utilizzato. Sta in fila come gli altri. In altri momenti avrebbe preteso di restare davanti a te nella fila verso le casse, dopo aver lasciato in attesa la moglie col carrello vuoto andando avanti e indietro dagli scaffali per portarle la spesa come fosse radiocomandato. Guai se tu gli avessi detto che il tuo carrello era già pronto e che lui occupava la fila senza aver terminato gli acquisti. Si sarebbe rivoltato in modo così sgarbato che ti avrebbe tirato i paccheri dalle mani. C’è la moglie dell’avvocato Rossi, sulla cinquantina, sempre tirata a lucido, che in altri tempi non si sarebbe mai sognata di andare a fare la spesa. Avrebbe mandato la domestica con una lista interminabile di articoli, lasciandole l’incombenza di trasportarla fino a casa perché non aveva il tempo di darle un passaggio con la macchina. Ora la Signora si vedeva costretta, suo malgrado, a mettersi in fila come gli altri anche se mantenendo la distanza dai vicini di almeno due metri invece di uno. Non si sa mai !! A lei sarebbe necessario dare pizzichi per svegliarla dalla sua illusione di essere diversa. La vita è nà livella diceva Totò. Gli occhi scuri e sbarazzini di quel ragazzo laggiù sembrano quelli di Luca, l’amico di mio figlio, che non aveva mai visto un supermercato prima del 20 febbraio e che ora, pur di prendere una boccata d’aria, aveva chiesto il piacere alla madre di mandarlo a fare la spesa. Lui lo abbraccerei e lo bacerei come fosse mio figlio. Tanto si sa, i figli sò piezz’ e’ core, anche quando si rifiutano di andare a comprare il latte mentre tu stai stirando le sue camice e poi ti metterai a cucinare il suo piatto preferito (pollo arrosto con le patate), sfidando le ire di tuo marito che non voleva il pollo ma il pesce. E così via. La fila interminabile è composta da persone di ogni tipo. Tutti educati e “mascherati” in attesa che torni il tempo dei baci e degli abbracci, ma soprattutto quello dei paccheri e dei pizzichi. Eh? cos’è’ sto buonismo esagerato? A proposito, la signora che davanti a me ripete a memoria la lista della spesa sta proprio dicendo a mezza voce: «Un pacco di Abbracci, uno scatolo di Baci Perugina, 3 chili di paccheri». E dei pizzichi non dice niente? Forse pensa che il sale si vende a pacchi ma che lei, nella sua cucina, lo userà a pizzichi.

(L'opera in foto è Ancuoraggio di Carla Viparelli)

Vi mancano i baci, gli abbracci, le carezze? E persino “paccheri” e pizzichi? Le parole possono restituirli attraverso la magia del racconto. La strategia è vecchia ma sempre valida, quella del nostro Boccaccio: inventare una storia al giorno, così la quarantena sembrerà più breve. È tempo di “Quarantenamerone”: i lettori possono inviare un racconto all’indirizzo mail armida.parisi@ilroma.net. Due i vincoli: lunghezza e argomento. Tremila caratteri sul tema “Baci, abbracci, paccheri e pizzichi”. La redazione selezionerà i migliori e li pubblicherà sulla pagina culturale e sul sito del quotidiano.