La nostra famiglia è una tribù, per volontà dei nostri genitori, ai quali è sempre garbato essere controcorrente, siamo in dodici. La quarantena ci ha reclusi a casa, con grande soddisfazione di mia nonna. La sua saggezza e il calore che ci regala oggi ha un odore diverso, rende le serate speciali. Il sapore antico della leggenda ha preso il sopravvento, così Nonna Partorina ha dato vita ai racconti, e tra un pizzico e un abbraccio ha iniziato a narrare:«Era il 29 settembre del 1538. Intorno alle due di notte: un concerto di suoni secchi, asciutti, veniva da ogni lato dell’antico borgo, un sottofondo musicale regnò per svariati minuti, ogni cantaro di ceramica, ogni brocca era ridotta in mille pezzi. Un rombo sordo, potente, aveva lasciato spazio, alle urla sconnesse della popolazione, che per la paura, era scesa in strada. Puteoli cambiava volto, per sempre. Ma quella era una notte particolare, il rumore cupo si interrompeva a tratti, per riproporsi più profondo e esplosivo di prima. Zizula camminava a fatica su quei corpi dalla pelle vischiosa, ma al tempo stesso lucenti. La luna, anche se leggermente offuscata, dal fumo e dalla polvere, donava a quelle trame squamate un riverbero di luce evanescente. Ripensava al suo amante, al villaggio di Tripergole, noto per le vasche termali. Fu lì che vide per la prima volta il giovane Procolo Russo. Il tempo trascorso insieme dilatava lo spazio, Zizula riempiva il cuore con quei fugaci momenti di amore. Poi il terremoto. Pozzuoli si spopolò. Lei come altri fu costretta a fuggire. Non dimenticò l’ardore dei baci di Procolo. Ritornò a Pozzuoli dopo alcuni anni. Scese lungo la via che conduceva a Napoli, e prima di addentrarsi oltre, entrò in una chiesa da poco edificata, nominata di San Francesco. Avanzò titubante, poi, un raggio di sole, penetrato da un lucernaio, posto al limitare della parete destra, irradiò l’ultimo di quei frati. Non ebbe dubbi sul profilo di quel giovane. Era Procolo, un angelo, caduto in una pozza incandescente, salvato da Padre Gesualdo. Lui aveva donato la sua anima a Dio. Disperata fuggì. Invecchiando, ogni giorno, con una velocità innaturale, piena di rimorso per non essere stata lei a salvarlo. Così ardendo, si spense, come un truciolo di legno appassito».. Il camino ormai non arde più, mia nonna con un filo di voce termina la sua storia, accarezzando i profili di ognuno di noi, lasciando che il calore della notte accompagni sogni quieti. L’ombra delle sue mani si trasforma in un balsamo dolce, socchiudo gli occhi e mi abbandono.

(L'opera in foto è "Coppia" di Carla Viparelli)

Ci mancano i baci, gli abbracci, le carezze? E persino i “paccheri” e i pizzichi? Le parole, con la loro magia, possono restituirceli attraverso un racconto. La strategia è vecchia ma sempre valida, quella del nostro Boccaccio: dare spazio alla fantasia e narrare una storia al giorno, così la quarantena sembrerà più breve. Dopo il Decamerone è tempo di scrivere il “Quarantenemerone”: saranno i lettori, con i loro racconti, a farlo inviando il loro scritto all'indirizzo armida.parisi@ilroma.net. Due i vincoli: la lunghezza e l’argomento. Il racconto dovrà essere lungo tremila caratteri, spazi inclusi, e ispirato al tema “Baci, abbracci, paccheri e pizzichi”. La redazione selezionerà i migliori e li pubblicherà sulla pagina culturale del quotidiano e sul sito, dove il testo è arricchito dalla riproduzione di un’opera dell’artista Carla Viparelli in sintonia con il tema proposto.