La “materia oscura” è quella parte dell’universo che non emette luce a qualunque lunghezza d’onda né visibile né invisibile: quindi dalle lunghezze d’onda che partono dalle onde radio e passando per gli infrarossi arrivano al visibile, con la luce compresa tra il rosso e il violetto, per poi seguire dall’ultravioletto ai raggi X, raggi gamma e raggi cosmici. Nonostante non sia visibile, la sua esistenza è stata dedotta a causa di alcuni effetti da essa prodotta, ritenendo che sia addirittura più abbondante della materia visibile e che la sua presenza sia responsabile di equilibri tra la materia dell’universo, fino alla struttura stessa dell’universo. Negli anni ’30 del secolo scorso alcuni scienziati ne ipotizzarono l’esistenza: a partire dallo svizzero Zwicky nel 1933 che studiando ammassi di galassie dedusse la presenza di qualcosa di non visibile che ne condizionava la velocità di rotazione, che risultava essere superiore rispetto a quella prevista da un sistema gravitazionale basato unicamente su quando visibile o su onde elettromagnetiche note. A tali osservazioni si aggiunsero quelle di Vera Rubin, astronoma americana, scomparsa lo scorso 25 dicembre. Grazie al contributo fondamentale della Rubin, infatti, gli studi di Zwicky sul moto delle galassie produrranno la dimostrazione definitiva dell’esistenza della materia oscura. Secondo Zwicky, infatti, la velocità delle galassie era superiore a quella determinata dalla sola massa visibile, pertanto esse dovevano essere collegate tra loro da una sostanza non visibile che produceva la sua influenza dal punto di vista gravitazionale. Gli studi della Rubin, invece, subiscono un’accelerazione a seguito dell’incontro con Kent Ford che aveva realizzato uno spettroscopio particolarmente sensibile per l’epoca. Grazie a questo strumento che scompone la luce nelle singole frequenze che la compongono, essi iniziarono lo studio della rotazione delle galassie, a cominciare da quella di Andromeda. Da subito notarono qualcosa che non coincideva con le conoscenze dell’epoca: a differenza di quanto previsto dalla teoria gravitazionale, secondo la quale le stelle più lontane dal centro della galassia dovrebbero muoversi più lentamente di quelle più interne, così come avviene per i pianeti attorno alla propria stella, nella galassia di Andromeda, e in tutte quelle successivamente osservate, le stelle esterne avevano una velocità analoga a quelle interne. Tale fenomeno era spiegabile solo grazie alla presenza di una materia invisibile, che quindi non emette radiazione elettromagnetica, in grado di produrre forze gravitazionali che influenzino il moto altrimenti atteso. Da lì è partito lo studio per cercare di comprendere meglio cosa fosse e come agisse questa nuova forma di materia. Attualmente la stima più accreditata ipotizza che circa il 27% dell’universo è composto da tale materia oscura. Sorprenderà sapere che la materia “ordinaria”, ovvero quella a noi visibile direttamente o indirettamente grazie alla radiazione elettromagnetica, ammonta a circa il 5% del totale. Il restante 68%, che rappresenta il “vuoto” esistente, vuoto non è. A tale 68%, infatti, va ricondotta la forza repulsiva che sta producendo quell’effetto gravitazionale che dà luogo all’espansione dell’universo conferendogli anche una propria densità: l’energia oscura, di cui tratteremo più approfonditamente i una futura rubrica. mi_sa@inwind.it