“Mi piacerebbe ripristinare la figura del cantante napoletano, figlio di Bruni e Carosone”. Queste le parole di Nino D’Angelo durante l’incontro all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, per ribadire il suo distacco dalla cultura neomelodica che, negli ultimi anni, ha avuto grande riscontro nelle periferie napoletane. Quegli stessi margini della città che proprio allo scugnizzo di San Pietro a Patierno hanno consentito il successo, attraverso una dura formazione presso “la scuola della strada”, come lui stesso ama definirla. Una scuola che fa parte di una duplice realtà che vede la città di Napoli spezzata in due. L’antropologo Marino Niola, durante il suo intervento, la descrive meticolosamente. “I conservatori si stracciano le vesti per la profanazione della cartolina”, spiega Niola, contrapponendo l’immagine turistica a quella di una Napoli periferica ed emarginata. Nino “ha a stento la terza media”, come ha raccontato ai giovani studenti universitari, eppure ha rivoluzionato la musica napoletana che negli anni ’80 era contraddistinta da testi che raccontavano e insegnavano delinquenza. “Ai miei tempi già si raccontava Gomorra, io ho riportato l’amore”, dice D’Angelo parafrasando i suoi versi in quell’aula magna piena di sguardi attenti. Un’attenzione che sale ogni volta che la regia alza il volume della musica lanciando una sua canzone. “Senza giacca e cravatta” risuona nell’ambiente ed è subito un concerto di applausi e voci, che all’unisono non riescono a fare a meno di intonarne le note. Una composizione scritta senza una formazione da musicista ma che coinvolge tutte le generazioni. Per Nino scrivere canzoni raccontando la sua vita è sempre stato un atto spontaneo, anche senza un percorso scolastico. “Sono cresciuto a ‘pane e canzoni’ - racconta - la cultura non implica intelligenza”. Un racconto riportato anche all’interno del suo ultimo libro biografico “Il poeta che non sa parlare”, che ha dato nome all’incontro ed è l’abbrivio di un progetto che sarà accompagnato anche da un nuovo disco e da un tour primaverile. Sul palco, a presentare l’evento, Fabrizio Manuel Sirignano, presidente del Corso di laurea in Scienze della formazione primaria dell’Ateneo, che ha analizzato i linguaggi musicali e i testi di Nino D’Angelo insieme con il medico, studioso di musica, Massimilano Sirignano, il musicologo Pasquale Scialò e l’artista Jorit. Dopo un’approfondita analisi del valore pedagogico di alcuni testi di D’Angelo e l’intervento degli esperti, Jorit è salito sul palco per raccontare la sua esperienza a San Pietro a Patrierno. Nel luogo di nascita del cantante, l’artista gli ha reso omaggio con un enorme ritratto. “Mi sento figlio d’arte di Nino” dice Jorit, riferendosi all’umanità e alla voglia di raccontare un tipo di realtà emarginata che si nasconde dietro quel celebre caschetto biondo. In conclusione, in merito al titolo del libro, una domanda sorge spontanea: il poeta, senza parlare, è riuscito ad arrivare al successo. Cosa sarebbe accaduto se avesse saputo parlare? “Forse sapeva parlare ma non sapeva scrivere” risponde Nino sorridendo. 

 

Cristina Somma