Ancora una volta Napoli riesce a coniugare, con il suo storico linguaggio polisemico, arte, cultura e spettacolo.

Nel cortile del Convento, posto antistante la facciata della chiesa di San Domenico Maggiore, innanzi a un sagrato obnubilato ai più, distratti dalla visione del più celebre abside di Piazza, nell’ambito della 41ma edizione di "Estate a Napoli 2020" (manifestazione promossa dell'Assessorato alla Cultura e al Turismo Comunale), è andata in scena l’attesa multidisciplinare rappresentazione artistica (a cura di Alto Volume) “La Macchina del Vento” di Wu Ming 1 (Roberto Bui, testo e voce narrante) ed ELEM (trio formato dall’artista visuale Loredana Antonelli e dai musicisti Marco Messina - 99 Posse – e Fabrizio Elvetico - Illachime Quartet)

In una sospensione tra la narrativa di Wu Ming 1, in classico abito reading e abilmente ferma nel non tradire l’ascoltatore con un fedifrago recitato, le musiche da macchina umana, a cui Messina ha dato ossatura, muscolatura e movimento ed Elvetico nervatura e pensiero e le proiezioni di Loredana Antonelli, ora astratte, ora da reportage-collage rock visivo, è trascesa con violenza artistica l’ora che ha impegnato, con successo, le orecchie, gli occhi e la mente di un numeroso pubblico attento (i posti erano occupati nella loro totalità), che non ha lesinato applausi neanche negli istanti dedicati al silenzio.

In apertura, il sentito ricordo volto a David Graeber, antropologo e attivista anarchico statunitense deceduto il 2 settembre, racchiuso nella breve laica omelia funebre di Bui.

E così, tra sogno e realtà, ideologia e necessità, storia e mito, in una antinomia tra musica, parole e immagini, sono stati inscenati i sette diacronici momenti che hanno caratterizzato la struttura portante della rappresentazione, sublimati e quadrati in un’esatta didascalica complementarità nel quinto “quadro”, quando l’ánghelos (magno)greco salpa da Partenope per perdersi nell’ondivago pelago dalla cadenza da blues industriale.

L’intero viaggio narrativo-sonoro-visuale è stato un’anabasi verso gli inferi, nelle cui pieghe il tempo del dove diviene il quando e dittature permalose da confino, fascisti veri e mitiche deità in consiglio compongono e scompongono, in un novello poema epico, un ventennio di dolore Italico rotto dal crescendo finale nella parresia di una Radio Londra, voce di resistenza e verità, e nello sciopero antifascista dei lavoratori.    

Lo spazio aperto ha, poi, consentito al rado passaggio degli aerei in fase di atterraggio di completare, con un’inattesa incursione sonora, le tessiture musicali donando loro una giusta misura di “concretezza” che ha reso ancor più viva la narrazione nella sua parte storica.      

Marco Sica