NAPOLI. Omicidio volontario, detenzione di arma da fuoco e furto in relazione all’auto usata per arrivare a corso Protopisani, reati in concorso con altre persone da identificare e con metodo mafioso. Con queste accuse il gip Luca Battinieri ha convalidato il fermo di Mario De Simone per l’agguato del 12 marzo scorso a Salvatore Coppola, ingegnere con un passato da collaboratore di giustizia e amicizie nell’ambito dei Mazzarella di San Giovanni. Il 64enne napoletano della zona, estraneo a contesti camorristici e con precedenti per reati contro il patrimonio, è in carcere e per ora vi resta da lunedì scorso. Va sottolineato che va considerato innocente fino all’eventuale condanna definitiva. Ad assiserlo è l’avvocato Melania Costantino.

Proprio il profilo di Mario De Simone, quanto mai lontano da quello tipico dell’affiliato clan, rende l’indagine delicata e particolare. Al punto che non si escluderebbe l’ipotesi di un movente personale e non camorristico, considerato che Salvatore Coppola da molti anni era tornato a Napoli e aveva ripreso a lavorare nel vecchio studio di corso Protopisani. A carico dell’indagato ci sarebbero le immagini del parcheggio in cui la vittima stava andando a riprendere la macchina per tornare a casa, al Vomero. Un’andatura incerta e un’articolazione particolare dei movimenti delle gambe avrebbero convinto gli inquirenti della Dda a emettere un decreto di fermo sulla base delle indagini condotte dai poliziotti della Squadra mobile della questura (dirigente Giovanni Leuci, vice questore Andrea Olivadese, a capo della sezione “Criminalità organizzata”).

Le indagini si sarebbero sviluppate partendo da due ipotesi: l’omicidio sarebbe il frutto avvelenato per una vicenda personale, forse nell’ambito di affari relativi ad aste immobiliari; oppure Mario De Simone sarebbe stato scelto dai clan come sicario proprio per l’assenza di legami organici con organizzazioni malavitose, risultando così non sospettabile, almeno non inizialmente. Uno degli scenari emersi, ma non l’unico, porterebbe gli inquirenti addirittura sulle piste di un clan rivale ai Mazzarella, nella cui orbita in passato Salvatore Coppola si sarebbe occupato di aste immobiliari e compravendita di alloggi. L’ingegnere nel 2013 aveva chiuso la sua breve collaborazione con lo Stato e qualche tempo dopo era tornato all’ombra del Vesuvio, scegliendo il Vomero come residenza con la famiglia: moglie e due figli. Riaprendo lo studio aveva ricominciato a svolgere la professione, ma senza che inquirenti o investigatori si occupassero di lui.

Circostanza che apre la strada anche a un’altra pista: non volendo immischiarsi più in affari illeciti, sarebbe forse incorso nella ritorsione mortale. La sera del 12 marzo scorso Coppola, abitudinario, ha chiuso la studio alla solita ora e ha percorso i 60 metri che separano lo stabile in corso Protopisani al parcheggio del Decò. Il sicario lo ha intercettato, piombandogli alle spalle, vicino all’auto coreana, esplodendogli un solo colpo di pistola alla nuca che lo ha ucciso all’istante.