CASTELLAMMARE DI STABIA. Ci fu un processo, ma non furono individuati colpevoli. Il 20 gennaio del 1921 sarà per sempre ricordato a Castellammare di Stabia per i 6 morti e un centinaio di feriti che furono medicati all’ospedale San Leonardo, la cui sede era in quella Piazza Spartaco, la piazza del Municipio, oggi intitolata al Papa Giovanni XXIII. C’erano stati degli arresti. I carabinieri portarono via in manette i consiglieri socialisti e gli assessori della giunta del sindaco Pietro Carrese. Il primo cittadino non era presente in quei giorni e quindi non subì il processo. Il procedimento giudiziario fu celebrato in Corte d’Assise a Napoli, il 7 febbraio 1922, un anno dopo. Ne scrive il giornalista, e avvocato penalista, Nino Di Somma in un articolo, attingendo alle fonti citate dal professore Antonio Barone, nel suo libro “Piazza Spartaco” (Editori Riuniti). «Dalla lettura dei giornali dell’epoca (Il Giornale d’Italia, Ordine Nuovo, il Mattino), si evince che il primo colpo che diede il via agli scontri fu sparato dal Municipio (quindi dai socialisti assediati nel Municipio) e colpì il maresciallo Carlino». Il maresciallo dei carabinieri, Clemente Carlino venne colpito al cranio e morì sul colpo. Fu la prima vittima del conflitto che si scatenò tra i manifestanti (commercianti, professionisti, militanti dell’Associazione Democratica, anticomunisti e Popolari capeggiati da Silvio Gava) e i socialisti dell’amministrazione cittadina barricati a Palazzo Farnese, oltre al gruppo di socialisti di Gragnano che si erano assiepati sulle scale della Cattedrale, venuti a dare man forte ai compagni rinchiusi nel Municipio. I primi due colpi, in seguito ai quali cadde il maresciallo Carlino, partirono dal Comune. Ma i giornali socialisti scrissero che a sparare fu un “fascista”, Andrea Esposito, detto “Raimo”, appostato su una loggetta. Al di là delle tesi ideologiche enfatizzate dai giornalisti dell’epoca, ci soffermiamo sull’attenzione che l’avvocato penalista, Nino Di Somma, ha voluto focalizzare sul processo: «L’istruttoria fu affidata al giudice Francesco Lizzo che mandò a giudizio consiglieri e assessori della giunta socialista, sostenendo che i colpi mortali fossero partiti dalle loro pistole. Undici gli imputati di concorso nell’omicidio del maresciallo Carlino: saranno tutti assolti dalla giuria popolare che, non ravviserà prove sufficienti e lascerà tutti scontenti. La stampa borghese, che avrebbe voluto inchiodare i socialisti alle loro responsabilità e ottenere giustizia per un carabiniere morto; la stampa socialista, che vide nell’assoluzione la volontà di mettere tutto a tacere e di non riaprire il processo nei confronti dei fascisti (Esposito in testa) a loro dire responsabili morali e materiali di quello che il giornale Soviet definì l’eccidio socialista». Furono moltissimi i testimoni al processo. Furono chiamate a deporre anche due suore. Di loro ne scrive il “Roma” dell’epoca che seguì il processo in ogni battuta. “Suor Filomena Vigna, 65 anni, occhiali bleu: «Quel giorno mi trovavo in ospedale. Mi affacciai per curiosità e rimasi molto impressionata nel vedere tanta gente in piazza Municipio. Quando giunse il corteo dal seminario fu esposta la bandiera tricolore. Ed allora dal palazzo comunale vidi sventolare un drappo rosso. Poi udii dei colpi ed ho veduto il maresciallo dei carabinieri cadere colpito a morte. Io dissi ad un’altra suora che era accanto a me: andiamo ad accogliere i feriti». Suor Vincenza Catalano, vecchietta ma molto timida, entra nell’aula con un’aria di compunzione con le mani giunte. Presidente: «Quando avvenne il fatto, lei stava nell’appartamento delle suore dietro le persiane?». Ma suor Vincenza parla a voce bassissima che non arriva fino a noi, sembra che ella si stia confessando. Riusciamo a capire che suor Vincenza, stando dietro alle persiane del suo appartamento vide prima il tricolore e poi il drappo rosso. Presidente: «Donde ha visto partire i colpi?». Suor Vincenza: «Dal Municipio»”.  (3.continua)