La Suprema Corte di Cassazione, seconda sezione penale, in accoglimento del ricorso proposto dagli avvocati Dario Vannetiello e Rosario Pezzella, limitatamente all’aumento della pena applicata per la recidiva, la sentenza di condanna emessa il 7 gennaio del 2020 dalla Corte di Appello di Napoli – II sezione. L’effetto prodotto dall’annullamento è indubbiamente significativo: la pena irrogata è passata da anni 14 e mesi 8 ad anni 9 e mesi 4 di reclusione. La condanna inflitta ad Orlando Antonio è relativa alla grave accusa di aver promosso, diretto ed organizzato, anche in costanza di latitanza, il Clan Orlando inglobando e superando il potere avuto sul territorio dalla famiglia mafiosa Nuvoletta prima e Polverino poi.

Sussisteva, inoltre, l’ulteriore accusa di aver tentato di estorcere agli imprenditori di Guida Antonio e fratelli la notevole somma di 500 mila euro. Come si ricorderà Orlando Antonio ha avuto la capacità delinquenziale di rendersi latitante per un periodo impressionante, ben 15 anni, rimanendo sempre egemone sul territorio nel quale gestiva le attività illecite. La latitanza è proseguita sino al giorno dopo la sentenza di condanna emessa in primo grado pari ad anni 18, ridotta poi in secondo grado ad anni 14 e mesi 8 ed, infine, drasticamente ridimensionata con la decisione assunta oggi dalla Suprema Corte la quale, grazie ad un cavillo giuridico, è stata “costretta” ad individuarla in soli anni 9 mesi 4.

Trattasi di uno dei rarissimi casi i cui la Corte di Cassazione annulla senza rinvio relativamente al trattamento sanzionatorio riducendo in maniera drasticamente significativa la pena inflitta dai giudici di merito. L’annullamento dell’aumento applicato per la recidiva appare sorprendente sia alla luce della lunghissima latitanza dell’Orlando Antonio, sia alla luce del precedente specifico che il medesimo aveva proprio per 416 bis quale esponente, negli anni addietro, di vertice del clan Nuvoletta. Di estremo interesse sarà la lettura della motivazione della sentenza che farà chiarezza su quale sia stato il cavillo giuridico introdotto dall’avvocato Dario Vannetiello nell’articolato diffuso ricorso prodotto innanzi ai Giudici Capitolini.