NAPOLI. La nuova camorra del rione Sanità torna alla sbarra per la conclusione del processo di secondo grado e quella che viene fuori è una nuova raffica di condanne: ben ventiquattro, per un totale di oltre duecentoventi anni di reclusione. La pena più pesante è stata quella inflitta al rampollo Antonio Vastarella, che stavolta è stato riconosciuto colpevole anche del tentato omicidio del rivale Giovanni Sequino “’o pallino”, accusa dalla quale in primo grado era stato invece assolto.

Quasi tutte le altre posizioni hanno invece subito un drastico ridimensionamento grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche o all’esclusione dell’aggravante di “capo e promotore”. Insomma, diversi presunti boss si sono rivelati dei semplici affiliati ai due “sistemi” da anni in lotta nel quartvarese (2 anni e 8 mesi). Le motivazioni saranno depositate entro novanta giorni. Il colpo da kappaò era stato messo a segno alla fine del febbraio 2019 contro i Sequino: in 25, già detenuti o liberi, avevano ricevuto la sgradita visita dei carabinieri, che avevano eseguito 22 arresti, e della polizia, altre tre arresti, con in mano il provvedimento restrittivo. Le accuse, a seconiere. Questo, nel dettaglio, il verdetto emesso nel primo pomeriggio di ieri dai giudici della Corte d’appello di Napoli: Pasquale Amodio, 6 anni e 8 mesi; Alexandr Babalyan, 3 anni e 10 mesi; Sebastiano Capobianco, 7 anni e 4 mesi; Pasquale Cunzi, 5 anni; Antonio Esposito (classe 1980), 8 anni in continuazione con altra sentenza; Antonio Esposito (classe 1993), 6 anni e 4 mesi (difeso dall’avvocato Riccardo Ferone); Ciro Esposito “’o macall”, 5 anni (difeso dagli avvocati Leopoldo Perone e Antoni Rizzo); Gennaro Esposito, 6 anni; Sonia Esposito, 2 anni con pena sospesa; Nunzio Giuliano, 5 anni; Francesco Grasso, 6 anni e 4 mesi; Salvatore La Marca, 6 anni e 4 mesi; Ciro Minei, 7 anni e 4 mesi; Gennaro Passaretti, 7 anni e 4 mesi; Salvatore Pellecchia, 6 anni e 8 mesi; Silvestro Pellecchia, 8 anni e 8 mesi; (difeso dall’avvocato Domenico Dello Iacono); Nunzia Perez, 1 anno; Giovanni Sequino, 14 anni (difeso dagli avvocati Leopoldo Perone e Antoni Rizzo); Nicola Sequino, 8 anni (difeso dagli avvocati Leopoldo Perone e Antoni Rizzo); Salvatore Sequino, 16 anni e 10 mesi in continuazione con altra sentenza; Luigi Taiani, 6 anni e 8 mesi; Antonio Vastarella, 15 anni e 8 mesi; Patrizio Vastarella, 20 anni; Mirko Zolfino, 7 anni e 4 mesi. Confermate invece senza riduzioni di pena le condanne in precedenza inflitte a Martina Bolognini (2 anni), Costantino Caruso (10 anni e 8 mesi), Carmela Frenna (2 anni), Enrico La Salvia (6 anni e 8 mesi) e Salvatore Sada delle varie posizioni, andavano dall’estorsione e dal porto abusivo di armi, allo spaccio di stupefacenti, tutti reati aggravati da finalità e metodo mafiosi, fino all’agguato ai danni di Giovanni Sequino.

Tornando all’accusa di racket, la “mesata”, 500 euro ogni 30 giorni da consegnare a metà mese, non era l’unico “pizzo” che il titolare dell’agenzia vittima del clan era costretto a versare al clan. Gli extra erano una costante e spesso erano chieste dagli uomini dei Sequino sotto forma di anticipo che poi non veniva scalato. Minacce e avvertimenti servivano a tenere buono l’uomo, ma la situazione è cambiata quando la moglie non ne ha potuto più e ha varcato la soglia della caserma dei carabinieri. Così, è entrata nel vivo l’inchiesta poi culminata nella maxi-retata di febbraio.