NAPOLI. Scavando tra le crepe delle mura cittadine usurate dal tempo, si possono ancora trovare storie rannicchiate che stanno lì immobili, come in letargo: aspettano e sperano che qualcuno o qualcosa le tiri fuori. Ma non si tratta solo di storie; nei recessi oscuri dell’immortale Parthenope si annidano frammenti, sensazioni, voci, volti che si rincorrono come in una poesia tragica.

Ed è solo attraverso un paziente e appassionato recupero di queste storie nascoste che si può comprendere cosa sono state e cosa hanno rappresentato per la città di Napoli quei giorni di insurrezione storicamente ricordati come “Le quattro giornate”, il punto più caldo di un’atmosfera di sommossa che aveva caratterizzato gran parte di quel settembre del lontano 1943.

La responsabilità di preservare la propria libertà e identità portò numerosissimi cittadini a scendere in campo a combattere: dal Vomero al centro storico, ai quartieri più periferici, ogni angolo del capoluogo campano sembrò risvegliarsi da una fatale apatia, eruttando uomini armati alla bene e meglio in ogni dove.

Piegati da una indomita resistenza i tedeschi, dopo quattro intensissimi giorni, batterono in ritirata e la città di Napoli venne risparmiata da quel destino di “cenere e fango” a cui Hitler avrebbe voluto condannarla. Quasi ogni famiglia napoletana ha un proprio avo o quello di un conoscente che ha preso parte a quella feroce battaglia. E hanno storie da raccontare, siano esse personali che comunitarie.

Di quest’ultimo gruppo fa parte l’eroico gesto di un abitante del quartiere Materdei, zona residenziale geograficamente strategica. In via Duca Ferrante della Marra all’altezza del civico 3, il ventottenne Tenente dei granatieri Carmine Muselli il 28 settembre si ergeva a difesa del grande complesso abitativo dove viveva con la sua famiglia, cadendo da eroe sotto i colpi del nemico tedesco. La lapide a memoria dell’atto eroico, per troppi anni dimenticata, è stata quest’anno omaggiata con una corona d’alloro durante le celebrazioni organizzate per ricordare le quattro giornate.

Episodico ed epico, il racconto di quegli ultimi giorni settembrini ritorna ogni anno a investire la città, con un’enfasi ogni volta diversa e sempre più coinvolgente. Se oggi, attraverso Internet, la sinergia tra l’Archivio di Stato di Napoli, l’Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, l’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea “Vera Lombardi” e l’Archivio Gianmaria Lembo hanno dato vita al primo portale web interamente dedicato alle Quattro giornate, nel 1962 il regista sardo Nanni Loy firmò una delle opere celebrative più famose, il film corale “Le quattro giornate di Napoli”.

Diretto e doloroso affresco di una città martoriata ma non vinta, l’abile lavoro di Loy ebbe una straordinaria risonanza internazionale, tanto che venne candidato agli Oscar nella categoria Miglior film straniero. La narrazione, forte e a tratti disturbante, procede per frammenti, per sprazzi di disperazione in cui le inattese incursioni tragicomiche restituiscono il lato umano del dramma. In quei volti neorealisti sconvolti e sconvolgenti, il racconto si infrange e diventa solenne, come una preghiera. Quella stessa preghiera di speranza che, con voce flebile, le storie nascoste fra le crepe dei muri rivolgono sommessamente alla città.