Giuliano Poletti, ex ministro del lavoro nei governi Renzi e Gentiloni, parla del segnale positivo arrivato all'Italia dalla Ue, anche se ammette che il futuro sarà piuttosto complicato e affida le sue riflessioni a "Mattina 9", condotto da Mariù Adamo.

Dall'Unione Europea dovrebbero arrivare all'Italia più di 170 miliardi. Le trattative saranno difficili ma è un segnale molto forte.

“L'Europa ha fatto un passo deciso nella direzione di un'assunzione condivisa di responsabilità. Non si è accettata l'idea degli eurobond ma è sicuramente un passo importante. Ma la gestione della trattativa non sarà semplice e anche avendo queste risorse le cose da fare nel Paese sono tante e molto difficili”.

Crede che l'Europa abbia capito che in gioco non c'era solo l'economia di alcuni Paesi ma l'Unione stessa?

“La dimensione sociale dell'Europa è un problema non adeguatamente affrontato nel tempo. I cittadini vogliono un'Europa dei cittadini, non dei mercati. L'Unione Europea questa volta ha dato il segno di esserlo e di capire la sofferenza delle persone che hanno perso il lavoro. È stata stanziata una somma importante se pensiamo che Merkel e Macron hanno parlato di 500 miliardi e siamo arrivati a 750”.

Tornando all'Italia, il decreto rilancio è sufficiente o serviva di più?

“È un punto di partenza importante che comincia ad affrontare i primi problemi. Solo che ci sono problematiche di fondo che andrebbero risolte: non è che le cose andavano meravigliosamente bene prima del covid, veniamo da 20 anni di bassa crescita. Abbiamo problemi di produttività, capacità ed efficienza del sistema pubblico, burocrazia, evasione fiscale. Non è che arrivano dei soldi e questi problemi si risolvono. Però queste risorse sono un'occasione e vanno spese bene”.

Però questi sono problemi atavici, di cui si parla da anni: come mai non si riesce a risolverli?

“Bisogna prendere insieme una responsabilità: non è la politica la causa di tutti i mali e la soluzione di ogni problema. Bisogna coinvolgere tutto il paese: istituzioni, associazioni di volontariato, imprese, mondo della cultura. Diversamente ognuno scarica la responsabilità su quello che fanno gli altri, serve un grande sforzo corale”.

Nel solo mese di aprile c'è stata tanta cassa integrazione quanto in tutto il 2009, l'anno peggiore della crisi economica. Teme che siamo solo all'inizio?

“Bisognerà fare in modo che chi non ha lavoro continui ad avere una tutela collettiva che gli garantisca di poter vivere. Bisogna investire, investire, investire, perché solo un forte rilancio dell'economia ci aiuterà a svuotare il bacino delle persone che sono in difficoltà. Personalmente, non mi concentrerei solo sulle grandi opere: in Italia ci sono tanti Comuni e in questi mesi i sindaci sono stati i primi volontari della loro comunità. Hanno portato la spesa a casa, si sono preoccupati se non arrivavano le medicine. Hanno tante cose da fare, mettere a posto le strade, le scuole, i parchi. In questi mesi hanno meno entrate, hanno i bilanci in difficoltà. Possono essere invece una centrale di spesa efficiente perché vicina al territorio. Se punti solo sulle grandi opere premi solo le eccellenze, invece bisogna lavorare a tutti i livelli, anche le piccole imprese che vanno a tagliare l'erba dei parchi”.

Lo smart working andrebbe regolamentato meglio?

“Noi lo regolamentammo con una norma a suo tempo ma io credo si debba migliorare. Bisogna essere consapevoli che lo smart working non è il tutto: serve una relazione di persone, se ci si isola troppo dal punto di vista delle relazioni umane il lavoro non ha vantaggi. Serve equilibrio: con lo smart working risparmiamo tempo e viviamo meglio. Ma bisogna riorganizzare il modo di pensare dei dirigenti che se non vedono le persone davanti pensano di non comandarle, non è così. È una buona opportunità ma da usare con giudizio”.

Confindustria non lesina critiche al governo e c'è già stato il primo scontro con i sindacati. Sarà un autunno caldo?

“Ognuno fa la propria parte e Confindustria ha il compito importante di immaginare come sarà l'impresa del nostro paese. Ecco, penso che questo paese abbia bisogno anche di nuovi imprenditori magari consentendo ai lavoratori di acquisire la propria azienda e diventare loro stessi imprenditori.”

Sul prestito da 6 miliardi a FCA il governo si è mosso bene?

“La posizione del ministro dell'Economia è corretta. Sì al prestito se FCA accetta e condivide le condizioni che il Paese ha titolo a richiedere. È il modo giusto per affrontare questo tema”.

Come giudica gli anni dei governi Renzi-Gentiloni?

“È stata una fase molto intensa, piena di possibilità e sono state fatte tante cose importanti. Ma probabilmente non siamo riusciti a far metabolizzare al nostro paese tutte le cose che volevamo mettere in campo”.

E l'operato dei suoi successori?

“Il governo Lega/5 Stelle ha fatto l'errore gigantesco di unire il ministero del Lavoro con quello dello Sviluppo Economico, di conseguenza quello del Lavoro è stato poco seguito. Io e Calenda eravamo in due, lavoravamo come dei matti giorno e notte e non riuscivamo a stare dietro a tutti. Pensare di accorpare due ministeri con la bacchetta magica  non è stata una scelta saggia. Nella fase recente, invece, credo sia stato fatto un lavoro importante sulla cassa integrazione; forse non ce ne rendiamo conto ma si è agito su una quantità enorme di situazioni”.

Ma non le manca la politica?

“Avevo maturato l'età per la pensione, anzi ero a quota 110, e ho deciso di tornare a casa dopo 17 anni da pendolare. A Roma ci torno, ma da turista”.