NAPOLI. Un selfie con il telefonino dell’amico che avevano ucciso poche ore prima e seppellito in un terreno di San Giovanni a Teduccio. Un autoscatto macabro che poteva servire come improbabile alibi ai 3 assassini, ma che si rivelò un boomerang. Alle prime contestazioni della polizia a Gaetano Nunziato, l’anello debole del terzetto, il complice di Gaetano Formicola e Giovanni Tabasco crollò. La domanda degli investigatori era semplice: come mai Vincenzo Amendola non c’è nella foto? L’omicidio fu deciso dal rampollo della famiglia del gruppo per una questione d’onore: la vittima aveva avuto una relazione con una donna del clan, moglie di un affiliato di spicco detenuto. La circostanza del selfie emerge leggendo l’ordinanza di custodia cautelare contro i clan di San Giovanni a Teduccio, eseguita a inizio giugno con 37 arresti, ed è uno spaccato di camorra inedito e inquietante.

Era il 5 febbraio 206 quando Gaetano Formicola “’o chiattone”, Giovanni Tabasco “Birillino” e Gaetano Nunziato “Pampers” con una scusa prelevarono Vincenzo Amendola, un bravo ragazzo con cattive amicizie e lo condussero in un luogo isolato nelle campagne. La vittima capì durante il tragitto cosa stava per succedergli, anche perché sapeva che gli amici erano delinquenti, pianse, chiese pietà. Ma non ci fu nulla da fare: il capo del gruppetto, discendente diretto dei Formicola, fu irremovibile. Il giovane fu ucciso e seppellito nel luogo in cui era già stata preparata per lui la fossa.

Formicola, Tabasco e Nunziata tornarono al luogo abituale di ritrovo di San Giovanni a Teduccio e rimasero alcune ore insieme. “Pampers” era il più scosso temendo di essere scoperto e pensò alla sceneggiata del selfie con il telefonino di Vincenzo. Fece un autoscatto insieme agli altri amici, lo pubblicò su Facebook e poi se ne tornò a casa con il cellulare. Interrogato dai poliziotti del commissariato San Giovanni-Barra, i primi ad acquisire informazione che portavano al terzetto, disse che gliel’aveva restituito alcuni giorni prima. Successivamente non l’aveva più visto. Gaetano Nunziato resse fino al 8 febbraio 2016, quando confessò l’omicidio tirando in ballo i complici e spiegò l’origine del selfie. Me lo aveva dato Amendola prima che venisse ucciso. Ho fatto io le telefonate e ho falsamente detto alla polizia di averglielo restituito. All’alba mi sentii male e iniziai a vomitare. Tabasco mi incoraggiava dicendo che non dovevo pensare a ciò che era accaduto in quanto mi sarei mostrato debole se mi fossi soffermato a pensare a ciò che avevamo fatto. Successivamente ci siamo addormentati e ci siamo svegliati verso le 13 e 30 del 5 febbraio 2016. Dissi a Giovanni Tabasco che sarei andato a casa per fare una doccia. Successivamente andai a prendere mio figlio a scuola e poi a casa della mia compagna, dal cui terrazzo lanciai il telefonino di Amendola su un altro terrazzamento».