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Alvino, il più grande urbanista napoletano

Opinionista: 

Le Corbusier, architetto, pittore e scultore, Maestro del movimento moderno d’architettura, aveva una grande stima degli ingegneri al punto da scrivere in “Vers une architecture” del 1923 “I più grandi architetti dell’’Ottocento sono stati gli ingegneri”. E lo furono l’inglese Joseph Paxton, autore del Palazzo di Cristallo all’Esposizione Universale del 1851 di Londra, il tedesco John Roebling, autore del ponte sospeso di Brooklyn del 1883 a New York, il francese Gustave Eiffel, autore della Torre in ferro alta 300 metri all’Expo del 1889 di Parigi. E il milanese Errico Alvino, napoletano di adozione, che dimostrò di essere un urbanista di straordinaria lungimiranza con la realizzazione delle prime tangenziali del mondo. Al re di Napoli Ferdinando Carlo Maria di Borbone, che nel 1852 gli chiedeva quanto fosse larga la strada che avrebbe collegato via Santa Teresa al Museo con Mergellina, rispose che sarebbe stata sufficiente per garantire la percorrenza di due carrozze. Ma il re gli disse che voleva una strada percorribile da almeno quattro carrozze. E Alvino eseguì. Questo aneddoto mi sembra pertinente per richiamare l’attenzione su un primato borbonico che non può essere oggetto dei commenti ironici che, in polemica con una obiettiva storiografia sui Borbone di Napoli, certi storici faziosi fanno sui “primati” del Regno delle Due Sicilie. Alla fine del 1858 veniva ultimata la strada di collegamento carrabile tra la parte occidentale e quella orientale della città. Una vera e propria tangenziale, la prima del mondo senza alcun dubbio, posta tra i quartieri spagnoli e la collina del Vomero, dal Largo del Mercatello (oggi piazza Dante) a Mergellina, panoramica e attraversata da moltissime scalinate che, una volta, erano l'unica possibilità di comunicazione tra la città ed il Vomero (che in quei tempi era un luogo di villeggiatura per ricchi). Tra queste la famosa scalinata Pedamentina, che porta le persone in buona salute fin su a San Martino. Venne chiamata Corso Maria Teresa, moglie di re Ferdinando. Ma appena due anni dopo prese il nome di corso Vittorio Emanuele II a seguito della conquista piemontese del Regno delle Due Sicilie. Ma penso che sia opportuno ridargli l’originaria denominazione non essendoci ragione alcuna per continuare a intitolarlo al re sabaudo. L’altra tangenziale è la strada litoranea realizzata sulla spiaggia di Chiaia (su “ La malora di Chiaia” ha scritto Benedetto Croce in “Storie e leggende napoletane”) sembrandogli insufficiente la Riviera alle spalle del Real Passeggio (oggi Villa comunale) per collegare Posillipo con il centro cittadino e i rioni orientali. E realizzò, assieme ad altri ingegneri napoletani, il lungomare da largo Sermoneta alla piazza antistante la Villa (prolungata poi fino al Castel dell’Ovo), largo oltre venti metri, con due ampi marciapiedi destinati al passeggio e alla sosta all’ombra, quello lato mare largo quattro metri e quello adiacente il Real Passeggio largo otto metri, alberato e dotato di panchine. Di particolare interesse è il muro di ripa ad andamento curvilineo in pietre vulcaniche (oggi nascosto dalle oscene scogliere bianche che formano uno stretto intercapedine ricettacolo di rifiuti d’ogni genere) e col parapetto costituito dalla sequenza di muretti di mattoni e balaustre in tubolari di ferro. La via è stata dedicata a Francesco Caracciolo, l’ammiraglio napoletano impiccato per la sua adesione alla Repubblica napoletana del ’99. La tangenziale a mare fu completata nel 1880, quattro anni dopo la sua morte, avvenuta a Roma il 7 giugno 1876. E mi è sembrato doveroso ricordarlo il giorno del 143° anniversario. L’ingegnere Alvino mai avrebbe immaginato che il lungomare più bello del mondo sarebbe stato sottratto dopo centotrentun’anni alla sua funzione di strada carrabile e trasformato in uno spazio pedonale destinato agli usi più stravaganti e impropri da un sindaco entrato a Palazzo San Giacomo con la bandana in testa e con la promessa di “amministrare in forte discontinuità col passato”. Penso che avrebbe rinunciato a realizzarlo.