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Amleto salernitano: essere o non essere candidato

Opinionista: 

Asserragliato nella fortezza di Arechi, Vincenzo Primo, Re delle due Campanie, attende febbrile i risultati delle consultazioni elettorali di Calabria ed Emilia. Ed ancora, tende l’orecchio per decifrare gli effetti del trambusto politico che si consuma tra Palazzo Chigi, Parlamento e Pomigliano D’Arco. Essere o non essere candidato? Questo è il dilemma. Se Zingaretti, Franceschini e gli altri maggiorenti del Pd crederanno di nuovo nella sua verve di primo attore o non ripiegheranno verso la sconfitta onorevole pur di strappare un accordo di legislatura a quel che resta del movimento cinque stelle. Un patto che duri, se non proprio fino al 2023, almeno il tempo giusto per la cospicua infornata di nomine nelle società di Stato e nelle Partecipate. Si tratta di roba seria, che vale ben più del governatore di una sperduta provincia dell’impero. Volete mettere Caserta, Benevento, oppure la stessa Napoli con la potenza di Stati senza terra come Eni, Enel, Poste, Leonardo Finmeccanica, Terna e via discorrendo? Cosa volete che contino sindaci e governatori rispetto a consiglieri d’amministrazione che gestiscono fior di miliardi e apparati? Vincenzo Primo queste cose le sa. Da bravo filosofo ha letto e riletto la Critica della Ragion Pratica di Kant ed è ben consapevole che in politica la morale è variabile, mutevole, fondata su elementi empirici ed utilità. L’idillio giallorosso è come la festa della canzone di Sergio Endrigo: appena cominciato è già finito. Resta solo da sparecchiare la tavola e riempire le borse da viaggio con generi di prima e seconda necessità. Arrivi pure il centrodestra a sbrogliare la matassa di un paese che non cresce, indebitato fino al collo, afflitto da un crollo verticale della reputazione internazionale che costringe il povero Conte in seconda fila nella foto di gruppo dei Grandi. E il povero De Luca, direte voi? Vaso di coccio tra vasi di ferro?  Possibile. A meno che il Presidente non decida una bella inversione di marcia, rinunciando alla sua debordante prosopopea e chiamando il Sindaco di Napoli a saltare nell’iperspazio, ovvero verso una coalizione di stampo giacobino e patriottico da contrapporre alla strafottenza dei partiti del cosiddetto centrosinistra, e al marasma che dilaga nella capitale. In tal caso, per la prima volta potremmo intravedere le luci di quella comunità regionale che non si è mai costituita, capace magari di uno sforzo identitario che invece è risultato tanto facile a Lombardi e Veneti (non a caso plasmati dalla matrice austro-ungarica alla quale chi scrive si vanta di appartenere). I Campani. Un bel titolo per un ottimo romanzo.