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Autonomia energetica, l’Italia sempre lontana

Opinionista: 

Il nostro Paese è fortemente soggetto agli idrocarburi, a causa di politiche energetiche storicamente poco orientate alle fonti rinnovabili: sola eccezione, i tanti invasi che fino agli anni 60 furono costruiti, per sfruttare le ricche acque delle Alpi e degli Appennini. I consumi civili, e quelli della nostra poderosa industria, richiedono grandi quantità di energia importata, con conseguenti onerosi costi delle bollette a carico di famiglie e di imprese. È una fortuna che da un po' di tempo, il barile ha un costo sensibilmente ridotto rispetto al passato (non le tasse), questo ha in qualche modo compensato i tanti malanni della economia. Dobbiamo comunque chiederci per quanto tempo potrà durare la fase di costi ridotti dovuti prevalentemente alle scelte nette dei Sauditi: quelle di estrarre molto più oro nero, influenzando così verso il ribasso il mercato. Infatti lo scontro in atto tra i maggiori produttori di petrolio, senz'altro annuncia possibili rincari nel prossimo futuro. In questo caso, i problemi non potranno che aggravarsi. Non c'è, al pari di altre Nazioni, consapevolezza sufficiente del valore strategico dell'energia. È noto che, lungo tutto lo Stivale, si affermano da tempo minoranze ambientaliste attive e rumorose, in grado di bloccare ogni programmazione di approvvigionamento energetico, che si scagliano contro la stessa coltivazione dei giacimenti di idrocarburi quando vengono scoperti nel nostro territorio e nelle nostre acque territoriali. Insomma, in tale clima, non sempre viene considerata una fortuna (e lo è grandemente) la scoperta di sacche petrolifere nostrane. Nel mondo al contrario, ogni Nazione che abbia rilevanza, pone al primo punto della propria sicurezza, il raggiungimento della autonomia energetica: per affrancarsi certamente dai costi, ma in primo luogo, anche per non soggiacere a condizionamenti politici. Le crisi che scoppiano nel mondo - di scontri militari nelle varie regioni del globo - hanno come principale movente il controllo dell'energia di provenienza fossile. Lo testimonia la crisi ucraino-russa, la endemica instabilità mediorientale e Libica. Gli italiani invece, dopo il ripudio radicale - che non ha precedenti nel mondo - delle fonti di origine nucleare, hanno assunto pericolosi comportamenti di diffidenza e ostilità, persino rispetto a investimenti ed autorizzazioni orientate alle fonti rinnovabili, come il fotovoltaico, l'eolico e lo sfruttamento dei pozzi; come accade in Basilicata e nella costa Adriatica, con le recenti scoperte di importanti giacimenti di petrolio. Invece ridurre i costi della energia per l'industria manifatturiera italiana, seconda in Europa solo a quella tedesca, è la condizione indispensabile per poter stare nel mercato globale, con costi delle produzioni, compatibili per il confronto serrato ed affollato con i nuovi e i vecchi competitori. C'è da sperare che si definisca una volta per tutte il nostro piano nazionale della energia, si decida di programmare ordinatamente lo sviluppo del fotovoltaico e dell'eolico; si dia il via allo sfruttamento intensivo dei giacimenti di gas e petrolio insistenti nel nostro territorio. Se l'ambiente è un bene importante per le nostre comunità, lo è parimenti la possibilità di procurarsi sostentamento e di sostenere i livelli di progresso a cui aspiriamo. Le due esigenze devono trovare un proprio equilibrio con posizioni responsabili e lontane da furbizie opportunistiche. È il tempo dunque per assumere comportamenti finora evitati. Riguarda i governanti nazionali e locali, i media, le persone più avvertite. Chi mai potrà diversamente governare i cambiamenti delle politiche risultate finora così disastrose? Lo sviluppo, la occupazione, impongono scelte coraggiose, diversamente a nulla varrà elencare solo i guai, come fanno sovente i governanti. Chi governa deve decidere sul da farsi, anche attraverso scelte che possono inizialmente sembrare impopolari. Il vecchio adagio che indica il medico tollerante come colui che aggrava le malattie del paziente, è molto calzante con quello che accade. Alcuni si rifugiano nel luogo comune che la economia fondata sul turismo è la alternativa all'industria; ma è un assunto erroneo. Il turismo e anche l'agricoltura, sono attività economiche e si sviluppano in un tessuto ambientale economicamente solido, in territori ben attrezzati di servizi e di infrastrutture materiali ed immateriali. È principalmente l'industria che offre al territorio la spinta per darsi altre chances economiche e permettersi un ambiente più consono alle esigenze delle persone. Non si è mai visto, infatti, un territorio povero di attività economiche, con un ambiente ben salvaguardato; finora abbiamo visto solo l'esatto contrario.