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Boschi e la credibilità per la classe politica

Opinionista: 

Non che le gesta dell’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed allora ministro per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi siano proprio il tema di maggior rilievo nella situazione italiana; ma nemmeno si tratta di cosa da prender sottogamba. Il problema della credibilità, per la classe politica, è fondamentale: perché quasi tutto si gioca su quel piano, come sempre per i simboli. Se le persone sulle quali i simboli devono spiegare effetti non credono loro e non se ne lasciano condizionare, tutto finisce. Se non si crede più nella politica e nei suoi protagonisti, questi non vengono più ascoltati e qualsiasi cosa vadano a dire è letta con sospetto e come espressione di retro pensiero, d’interessi cioè diversi da quelli che si affermano perseguiti. Insomma, un disastro, come il populismo imperante dimostra. Ma torniamo a Boschi. Di lei s’è saputo che, mentre era ministro delle Riforme, ha avvicinato, spingendosi sino a Milano, in più occasioni il Presidente della Consob, forse ricorrendo alla mediazione di Denis Verdini, per parlare a lui della Banca Etruria, sia pure nel dichiarato interesse, almeno così è stato detto, dell’arte orafa aretina, danneggiata dall’eventuale fusione con la Popolare di Vicenza. Che l’abbia fatto per l’arte orafa o per la banca della quale il padre era allora vicepresidente, poco conta: le due cose coincidevano alla perfezione e quindi l’intenzione genuina nulla cambia. S’è poi saputo – a bocca dell’allora amministratore di Veneto Banca, Vincenzo Consoli – che il 19 aprile del 2014 ci fu una riunione nella casa aretina della famiglia Boschi, alla quale parteciparono oltre al padre del ministro e ad amministratori di Banca Etruria e Veneto Banca (il Consoli, appunto), anche la ministro in persona. La quale, a dire del Consoli, non avrebbe proferito verbo ed avrebbe poi lasciato la riunione dopo una quindicina di minuti. Nei prossimi giorni, altre audizioni potrebbero arricchire il quadro d’ulteriori particolari. Ma difficilmente potranno mutarlo in meglio. La politica, si diceva, è questione di credibilità: chi amministra fiduciariamente gli affari della Nazione non può lasciar pensare – vero o falso che sia – che invece stia lì a badare agli affari propri e di famiglia. È la nota questione del conflitto d’interessi, che non ha natura penale, né richiede la relativa prova rigorosa; ha natura politica e s’integra quando s’integrano le condizioni perché la fiducia venga meno. Il cittadino non ha poteri acuminati di controllo, dunque è assai più alta la soglia della credibilità richiesta rispetto a quella legata alla responsabilità penale. È ormai assodato che la deputato-ministro Boschi s’interessasse attivamente delle sorti della banca coamministrata dal padre e che partecipasse anche a riunioni riservate in abitazioni private, lei ministro. Che abbia parlato o meno, cambia nulla, anzi. Perché una presenza silenziosa è pur sempre una presenza ed una presenza d’un ministro è altamente simbolica. Se il ministro partecipa ad una riunione di banchieri nella casa del papà, evidentemente vuol fare avvertire che ha a cuore il problema del genitore. Segnala che lei, esponente di Governo, segue da vicino, molto da vicino quanto accade all’interno dell’istituto di credito e, dunque, lascia presumere che non farà mancare il proprio appoggio. Una partecipazione silenziosa, per certi versi, è anche più inquietante d’una conversazione, perché almeno quando si parla si circoscrive il senso della propria presenza. Mentre l’uomo di potere, com’è noto, parla poco, perché lascia intendere d’aver modo d’agire, nelle molte forme che la propria influenza consente a lui di attuare. Ora, tutto ciò, oltre a trasmettere un senso assai sgradevole e ad accomunare un ministro della Repubblica all’epoca molto considerato ad un personaggio che incute timore – non è bene questo accada in una democrazia – oltre a ciò, è evidente che questi incontri così ravvicinati ad una questione di gestione bancaria spingono a pensare a chissà quant’altro potrebbe esserci stato, sulla base del semplice passaggio logico, fondato sull’esperienza, per cui se s’è fatto fino a tanto è lecito presumere si sia fatto anche dell’altro. Altrimenti, tutto l’interessamento profuso non avrebbe avuto ragion d’essere. E questo non torna, perché raramente s’agisce senza motivo. Non torna, ma basta a rendere politicamente inaccettabile la situazione ed ad imporre le dimissioni. Dovrebbe bastare e soverchiare, ovvio, se alla serietà delle istituzioni si credesse. Cosicché ognuno, anche su quest’ultimo punto, può pervenire alle proprie conclusioni.