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Città metropolitana, si gioca su “tre piani”?

Opinionista: 

Da tempo, da oltre una ventina di anni a questa parte, da quando si è cominciato a parlare concretamente di Città metropolitana con le prime, precise opzioni, abbiamo avuto da subito la sensazione - la nostra anagrafe ci consente di poterlo dire - che non ci si sia mai del tutto resi conto della sfida epocale e delle difficoltà gigantesche cui si sarebbe andati incontro. Da fare ritenere più che calzante quel vecchio detto popolare, secondo cui “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Altro che mare, l’oceano. Basta leggere e riflettere sull’art. 1 dello Statuto per rimanere basiti sulla portata dei cambiamenti, che se altrove potrebbero essere problematici ma risolvibili, a Napoli si profilano addirittura utopistici e velleitari. Esso difatti u “si propone di risanare l’ambiente, rigenerare e riordinare il tessuto urbano, salvaguardare i beni comuni garantendone l’accesso, riorganizzare il policentrismo territoriale per il superamento della dicotomia centro - periferia, promuovere lo sviluppo sociale civile, culturale ed economico, valorizzando le diversità e le eccellenze territoriali”. Da quanto appena letto, non ci vuol molto a capire che se questa visione si può facilmente conciliare con altri contesti urbani, più moderni e già di vocazione policentrica, a Napoli il discorso si fa molto complesso, per non dire impossibile. Qui si tratta di doversi misurare con un territorio che, dai tempi dei Viceré, ha sempre avuto una connotazione urbana autoreferenziale, egemonica, appunto vicereale, di netta separatezza con i centri limitrofi, aggravata nel tempo da una conurbazione selvaggia e marginale, che preme all’esterno con tutte le negatività delle periferie abbandonate. Una condizione già nel ‘700 stigmatizzata dal riformatore napoletano Gaetano Filangieri, il quale osservò: «Io non dico che non ci dovrebbe essere una capitale di una nazione bene regolata, dico solo che se la testa si ingrandisce troppo, il sangue vi corre e vi si arresta, il corpo diviene apoplettico e tutta la macchina si scoglie e perisce». In realtà è ciò che possiamo verificare nella Napoli odierna, dove prevale un ingorgo urbanistico ipertrofico rispetto al resto. A parte tutto, qual è però il limite oggettivo che ci penalizza e pone ostacoli ardui sulla strada della “Città metropolitana”, è la incompatibilità di un Piano Regolatore, approvato molti anni fa, che va nella direzione opposta al destino metropolitano, di visione invece aperta e non più “radio centrica” come stoltamente si è inteso fare contro ogni universale tendenza. Certo non tutto è perduto. C’è sempre modo di cambiare e di emendarsi da errori esiziali; ma in una città che in venti anni non è riuscita a fare una bonifica su suoli pubblici, ci sono ancora forza e determinazione per far quadrare tre piani decisivi: il Regolatore, lo Strategico e il Territoriale? È su questo snodo cruciale che nei prossimi anni ci si giocherà il destino di Napoli moderna e competitiva. Cioè Metropolitana.