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È decreto “Cura Italia” o decreto “Spacca Italia”?

Opinionista: 

Diciamolo subito chiaramente questo decreto cosiddetto “Cura Italia”, sia pure insufficiente per gli stanziamenti e carente nelle norme, potrà forse essere utile a mitigare gli effetti negativi sul piano economico per il Centro Nord ma è assolutamente insufficiente e inappropriato per il Sud. Vero che un decreto legge è un provvedimento di carattere generale, che esprime i suoi effetti su tutto il territorio nazionale, tuttavia a nessuno può sfuggire che la diversità del contesto fra le due macro aree del Paese sono notevoli, sia sotto il profilo della emergenza sanitaria che sotto quello socio economico. Cosicchè se è vero che le disposizioni normative devono avere una valenza generale ed uguale erga omnes, è anche vero che gli interventi di tipo economico determinano effetti non sempre uguali anzi, spesso, differenziati secondo la conformazione del tessuto di impresa e di lavoro su cui calano e con cui interagiscono. Dunque la resa della manovra fiscale e di incentivi, che sono le leve principali con cui si articola un intervento pubblico, varia necessariamente in relazione alle caratteristiche territoriali. Sotto questo profilo il decreto legge prevede due principali interventi per le imprese con la leva fiscale che sospende le principali scadenze di imposte e con potenziamento del Fondo di garanzia per il credito alle piccole e medie imprese. Altro intervento di carattere generale a sostegno dell’impresa e dei lavoratori è quello destinato ad estendere il meccanismo della Cig anche alle aziende con meno di 5 dipendenti. Interventi che possono essere discutibili sul piano della quantificazione economica ma che sono ben mirati sotto il profilo della individuazione delle categorie beneficiarie del provvedimento di sostegno, ben definito e tutto sommato automatico e diretto, tranne qualche appesantimento burocratico inutile, come quello che prevede un concerto con i sindacati per la concessione della Cig in deroga. Altro discorso invece se si va ad analizzare la parte del decreto che concerne professionisti e lavoro autonomo e il mondo delle partite Iva. Su questo versante le disposizioni mostrano incredibili carenze, sia sotto il profilo economico che sotto l’aspetto normativo, al fine della individuazione dei soggetti beneficiari. È davvero impressionante il cambio di passo di sensibilità dalla sfera dell’impresa e del lavoro dipendente a quella del lavoro autonomo, comprendente il professionista e la partita Iva individuale. In questo ambito, superati i problemi burocratici, il sostegno del governo assomma al massimo a 600 euro mensili, del tutto insufficienti anche per un giovane professionista alle prime armi con studio a carico. Ma la situazione si aggrava ancor di più se, a queste considerazioni sulle misure previste dal decreto,? aggiungiamo una semplice osservazione relativa alle figure di cittadini che sfuggono al raggio di azione dei provvedimenti; ancor di più si aggrava se si illumina una visione territoriale delle ricadute degli interventi previsti, tenendo conto che la crisi è certamente differenziata sul piano sanitario ma è del tutto simile per le disposizioni di blocco delle attività produttive e delle conseguenze economiche per le imprese e per le famiglie. Sotto questa luce si rischia una pericolosa frattura fra regioni del Nord, che pagano un pesante prezzo sul piano sanitario ma che trovano forte sostegno nel credito alle imprese e nella Cig diffusa e capillare, e regioni meridionali, dove invece rischiano di restare fuori copertura amplissime fasce di famiglie che, private di qualsiasi reddito sia pur precario, non trovano sostegno in alcuna misura se non in un non meglio identificato reddito di ultima istanza, dell’art. 44 del decreto, di appena 300 euro. Non è un mistero né una sorpresa che il fenomeno del cosiddetto lavoro nero o sommerso sia maggiormente diffuso al Sud ove è esattamente il doppio di quello del Centro Nord in termini di fatturato ed il triplo in termini numerici di forza lavoro. D’altra parte, può non piacere, ma è un fatto che quella che folcloristicamente viene definita l’arte di arrangiarsi, esiste e si manifesta in modo anche consistente nei mille mestieri che pullulano nelle nostre strade e nelle attività quotidiane di un terziario non controllato. Si pensi al multiforme mondo dello spettacolo con attori, cantanti, musicisti, tecnici, oppure al mondo del welfare terziario. Ancora si pensi a tante figure che sfuggono alla regolarità di un inquadramento lavorativo, dall’ambulante al guardamacchine, dall’idraulico al portapacchi, dalla badante alla commessa, dal lavavetri ai collaboratori di studio non inquadrati, per finire alle fasce di disoccupazione non sussidiata. Così come la micro impresa nel commercio di vicinato e nell’artigianato: a fronte di una chiusura con azzeramento di incassi deve continuare a far fronte a una gestione comunque onerosa e ad impegni commerciali assunti in via ordinaria ed oggi non più sostenibili. Sarà lavoro nero o sommerso che fa inorridire i benpensanti ed i benestanti, ma è una realtà che non scompare con un tratto di penna e di cui dobbiamo farci carico. Si tratta di migliaia di persone che non sono in grado di resistere a lungo e la necessità di sopravvivenza può innescare una miscela esplosiva di rabbia e bisogni, una bomba sociale che il Governo ha innescato e che il Parlamento può disinnescare trovando i giusti rimedi per guardare al Sud ed alle sue necessità sociali.