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Deve cessare lo strapotere dei pubblici ministeri

Opinionista: 

L a separazione delle carriere tra i magistrati inquirenti e i giudici (voluta anche da Giovanni Falcone), la carcerazione preventiva, l’ergastolo, il 41bis, il ripristino della prima parte dell’articolo 68 come garanzia dell’immunità di cui godono i parlamentari di tutto il mondo (a cominciare dei deputati europei), la proibizione di associarsi in correnti ideologiche inammissibili in funzionari dello Stato cui è demandata l’amministrazione della Giustizia, il rispristino dell’Anm come luogo di discussioni giuridiche privandolo del carattere di sindacato di categoria che contrasta le leggi sgradite anche con lo sciopero (una mostruosità), la obbligatorietà di dimettersi dall’ordine giudiziario senza possibilità di rientro dei magistrati che intendono candidarsi a parlamentari, a presidenti di Regione, a sindaci e a qualsiasi altro incarico. Sono alcuni dei provvedimenti legislativi in grado di garantire una Giustizia rapida e giusta che la ministra Marta Cartabia non ha inserito nella sua proposta di legge, approvata dalla Camera e inviata al Senato. Ma il provvedimento più importante che la ministra ha dimenticato è la cosiddetta “obbligatorietà dell’azione penale”, prevista dall’art. 112 della Costituzione. Negli ultimi trent’anni è diventata un totem della difesa dell’indipendenza della magistratura.

Secondo i pm la rigida obbligatorietà dell’azione penale è un presidio di tutela del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Ma la lunga esperienza ha dimostrato che i pm sono liberi di scegliere a loro piacimento le inchieste che danno grande notorietà e trascurano tutte le altre che gli sono state affidate; ma non vogliono ammettere questa loro discrezionalità perché vogliono esercitarla in modo del tutto irresponsabile e, dunque arbitrario. Questo loro atteggiamento è profondamente antidemocratico: perché in democrazia non è concepibile alcuna attività che comporti scelte discrezionali. L’indipendenza dei magistrati (non c’è parlamentare che non la difenda) è un’eccezione al principio di sovranità popolare; un prezzo che la comunità è disposta a pagare per poter avere magistrati indipendenti. Ma se i pm compiono, nell’esercizio dell’azione penale, scelte discrezionali di politica giudiziaria, questi magistrati non meritano di essere indipendenti. Io non so (e non tocca a me definirlo) in quale altro modo i responsabili di azioni illegali vadano individuati, inquisiti e processati.

So che questo strapotere dei pubblici ministeri deve cessare. Perché non si ripetano fatti allucinanti come questo. Un noto cattedratico della Federico II, ingegnere, viene incaricato da una impresa costruttrice di eseguire i calcoli di stabilità di un edificio; e l’ingegnere li redige sulla base delle indagini geotecniche del terreno e firma la perizia di variante e suppletiva (era una caratteristica dei lavori pubblici di questo strano paese…) perché il costo delle fondazioni è superiore a quello previsto dal progetto messo in gara. La stazione appaltante non l’approva e denuncia alla Procura della Repubblica la collusione camorristica dell’impresa, a dispetto del certificato antimafia rilasciato dalla Prefettura. Il pm incaricato spicca un mandato di cattura dell’ingegnere (anche se non ricorre nessuna delle tre condizioni previste dalla carcerazione preventiva) con l’accusa di “concorso esterno in associazione camorristica”. L’avvocato difensore chiede e ottiene la nomina di un perito d’ufficio che, dopo un attento esame delle carte, accerta che i calcoli delle fondazioni sono esattamente quelli richiesti dalla “portanza” del terreno. Nessuna truffa. Tutto regolare. L’ingegnere viene immediatamente scarcerato, l’Università lo reintegra, l’Ordine degli ingegneri lo riabilita. Ma neppure un rigo di scusa dal pm che, per dodici lunghissimi mesi, lo ha privato della libertà, lo ha costretto a condividere con sei detenuti, a lui estranei, il bugliolo e lo spazio vitale. E ne ha compromesso l’equilibrio psicofisico. E anche la dignità professionale. Morale? La si può trarre leggendo “Le toghe sporche” di Bruno Tinti, sostituto procuratore di Torino.