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Draghi rischia di finire nella crisi di sistema

Opinionista: 

Occhio. Mario Draghi può molto, ma non tutto. E potrebbe essere risucchiato proprio da quella crisi di sistema contro la quale Sergio Mattarella lo aveva schierato. Una crisi prodotta dal fallimento della politica, che era stata incapace di esprimere un Governo in piena pandemia dopo il crollo del Conte-bis, la cui conseguenza era stata l’ascesa dell’ex governatore della Bce a Palazzo Chigi. I giochi sul Quirinale si stanno facendo pesanti, con i partiti che sembrano avere sempre più le briglie sciolte. Lo si è visto due giorni fa in Senato, quando centrodestra e renziani hanno votato contro il Governo, mentre M5S è sempre più balcanizzato. Il passo indietro di Mattarella, che ha ribadito di escludere un secondo mandato, ha letteralmente gettato nel panico tutti i leader politici. La ragione è semplice: così facendo, si è chiusa l’unica uscita di sicurezza disponibile, l’unico “piano B” in caso di fallimento del “piano A”. Un “piano A” che però non possiede nessuno e resta avvolto nelle nebbie di trattative invero ancora neanche iniziate. Draghi è in questo momento prigioniero di se stesso: se salirà al Colle si porrà un grosso problema per l’Esecutivo; ma se non ci andrà potrebbe succedere di peggio. È evidente, infatti, che l’eventuale bocciatura di SuperMario al Quirinale non riguarderebbe solo la presidenza della Repubblica, ma avrebbe pesanti riflessi anche su Palazzo Chigi. Insomma, non nascondiamoci dietro un dito: anche un bambino sa che Draghi è in corsa per succedere a Mattarella fin da quando quest’ultimo gli affidò l’incarico di formare il Governo. Se questo percorso si dovesse interrompere che succederebbe? Draghi continuerebbe a guidare l’Esecutivo e tutto resterebbe come prima? Ne siete proprio sicuri? Non è così semplice. Indipendentemente da come reagirebbe il premier se sfumasse l’ipotesi del Colle, in ogni caso la ricaduta politica per lui sarebbe grave. Inutile nasconderlo, l’ex banchiere centrale dovrebbe continuare a governare con gli stessi partiti che lo silurerebbero per il Quirinale. Dai, chiamiamo le cose con il loro nome: per lui sarebbe comunque un fiasco clamoroso. E siete proprio sicuri che di fronte a uno smacco così, tutto il resto rimarrebbe come prima? No. No, perché l’eventuale bocciatura della candidatura del premier sarebbe per lui una sconfitta politica mostruosa che inevitabilmente renderebbe il Governo più debole. E poi, dopo una bocciatura del genere, con che spirito Draghi continuerebbe a guidare un Esecutivo sostenuto da partiti che, di fatto, entrerebbero in modalità campagna elettorale fino al voto? E che finirebbero per utilizzare l’autorevolezza del presidente del Consiglio come uno scudo sul quale scaricare tutti gli scontri, le promesse irrealizzabili e le contraddizioni tipiche della campagna elettorale? Quindi la situazione si sta incartando attorno a un doppio rebus che nessuno sembra voler risolvere: 1) chi sostiene che il numero uno di Palazzo Chigi debba restare dov’è fino al 2023 finge d’ignorare l’inevitabile indebolimento dell’Esecutivo che ne deriverebbe (o forse punta proprio su questo, in fondo l’irresponsabilità è come il pozzo di San Patrizio); 2) chi invece non esclude Draghi al Colle non è in grado di dire in che modo la maggioranza dovrebbe andare avanti. Un cul-de-sac nel quale lo stesso presidente del Consiglio rischia di restare impantanato, bloccato nelle sabbie mobili di una mediazione parlamentare che rappresenta l’esatto opposto del decisionismo col quale finora si è mosso. Costruire un patto che tenga assieme Governo e Quirinale è l’unico modo per uscire da questa situazione, ma i maestri del nulla continuano a dare il peggio a reti unificate. Come se la quarta ondata e il muro dei 10mila contagi giornalieri appena abbattuto non esistessero. Avere una montagna di soldi, quelli europei del Recovery Fund, e non riuscire a spenderli sarebbe la prova ultima della bancarotta della nostra classe dirigente.