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E al molo Beverello appare la Nemesi

Opinionista: 

Ecco, vedete come è beffarda la vita? Virus o non virus, adesso basta un minimo accenno di alta pressione con questo sole incerto, perché non è più inverno ma non è ancora primavera. E si parte. Ma se fino a ieri lombardi e veneti potevano imbarcarsi per Ischia con l'auto anche a ferragosto, da oggi non possono nemmeno avvicinarsi al molo Beverello. E pare che qualcuno abbia già affisso il cartello "Non si fitta ai settentrionali". Perché è la Nemesi. E se prima eravamo noi gli appestati col colera, adesso gli untori sono loro. E siamo ancora a febbraio, primavera è alle porte e a Pasqua faremo le prove generali dell'estate. Ma prima l'estate iniziava nel tardo pomeriggio del 31 luglio, e il segnale lo dava l'annunciatore del telegiornale che apriva con le immagini in bianco e nero dei cancelli della Fiat che venivano chiusi e a Mirafiori restavano soltanto i guardiani degli Agnelli, mentre i siciliani e i calabresi e i napoletani dell'ultimo turno alla catena di montaggio uscivano allegri come bambini dopo il suono della campanella della scuola e si infilavano nella Seicento bianca con le valigie che erano di cuoio e non erano più di cartone sul portabagagli e tornavano al paese e parlavano al bar con un po' di boria in un dialetto strano che sapeva di smog, di condominio e di appartamenti che avevano anche il  bagno e il frigo. Poi con gli anni il benessere ha rivoluzionato il calendario, l'estate è cominciata a luglio e già sul finire di giugno per i più fortunati scattavano i preparativi. La casa era sempre la stessa: estiva, essenziale, soltanto un tavolo, quattro sedie, i letti e una cucina economica. Minimalista, direbbero oggi gli architetti. All'epoca era solo una casa povera di gente povera che affittava ai villeggianti un appartamento povero in cui viveva per tutto l'anno e per quei due mesi estivi emigrava in uno stanzone in campagna, stivata  tra pomodori, barattoli di peperoni e bottiglie di vino. E la vacanza era già quella: era l'odore di ambienti un po' ammuffiti, i cuscini che pungevano perché contenevano paglia, i materassi che sapevano di estate, la speranza di un rubinetto che forse avrebbe regalato l'acqua e forse no. E quelli del posto che camminavano scalzi per le strade bollenti, pietrose e polverose, ignari della fortuna che avevano di non essere stati ancora ricoperti di catrame e cemento armato. Perché la vacanza era il profumo del cellaio, era il bar con l'insegna di latta della birra Peroni, era una  corriera azzurra, sporca e vecchia che strombazzava per farsi spazio tra la gente e gli ombrelloni e i canotti colorati. E poi c'era il primo sopralluogo alla chiesa del Soccorso per controllare che fosse ancora lì dopo il vento e le tempeste invernali. Ed era lì, nonostante il feroce maestrale, ed era un'emozione che non si può raccontare. E poi in spiaggia, perché all'epoca c'era ancora una spiaggia, e c'erano i bagnini che inchiodavano travi e allestivano il nostro palcoscenico. C'era tutto, c'era soltanto da aspettare una 127 beige con lei, che prima o poi sarebbe comparsa sulla Provinciale con il suo carico di emozioni a bordo e di valigie sul portabagagli. È vero, come diceva il filosofo Lessing, che l'attesa è essa stessa un piacere, certo, ma quando sarebbe arrivata? Poi, all'improvviso, luglio/credevo ad un abbaglio/e invece ci sei tu/. E la vacanza poteva cominciare, adesso non mancava più nulla e nessuno.