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E se in fondo al tunnel ci fossero le elezioni?

Opinionista: 

È possibile governare un paese senza che chi ha l’onere di farlo disponga di una maggioranza e sia, di volta in volta, costretto a ricercare affannosamente quei consensi di cui sulla carta non dispone? La domanda, come direbbe il buon Antonio Lubrano, sorge spontanea osservando le alterne maggioranze che, al di là di ogni vincolo di partito, sembrano formarsi sul controverso disegno di legge sulle unioni civili. Si va avanti navigando a vista, con divisioni trasversali che lacerano al loro interno tutti i partiti (clamorose quelle del Pd, dove la componente cattolica rifiuta le indicazioni della segreteria, e del Movimento Cinque Stelle, con Beppe Grillo costretto a lasciare ai suoi libertà di votare come meglio credono). Ma non è soltanto il disegno di legge Cirinnà a provocare questa anomalia se si considera che, in particolare al Senato, molti provvedimenti del Governo riescono a essere approvati soltanto grazie al “soccorso” della pattuglia di senatori che si riconoscono nelle posizioni di Denis Verdini che pure Matteo Renzi, per non incorrere nelle ire di Pier Luigi Bersani e dei suoi amici, è quotidianamente costretto a dichiarare estranei alla maggioranza. È una tendenza che marcia in parallelo con il dissolversi di ogni riferimento ideologico e con l’indebolimento della cosiddetta “forma partito”. A giudizio di alcuni politologi, questa “maggioranza aperta” sarebbe da considerarsi un fatto positivo poiché consentirebbe, a chi ha l’onere di governare, di compiere scelte più aderenti alla realtà, svincolate dalla camicia di Nesso dei vincoli partitici. E citano, a conforto della loro tesi, la suggestiva affermazione del grande leader cinese Deng Xiao Ping secondo il quale «non è importante che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che prenda il topo». Ci permettiamo, tuttavia, di non condividere, almeno integralmente, questo punto di vista in quanto pensiamo che coloro che sono chiamati a governare debbano farlo secondo un progetto condiviso e complessivo, due caratteristiche che si integrano vicendevolmente. Un Governo dovrebbe, infatti, svolgere la propria azione sviluppando un sistema nel quale, per dirla con i francesi, tout se tient; nel quale, cioè, tutto si collega e s’intreccia e ogni provvedimento non è a sé stante, ma fa parte di un progetto condiviso dalla forza o dalle forze di governo che richiede, appunto, comunione di intenti. Se dalle enunciazioni di principio passiamo ad esaminare quella che Niccolò Machiavelli definì “la realtà effettuale”, cioè la realtà dei fatti così come sono, dobbiamo però renderci conto che, allo stato degli atti, questo progetto condiviso non c’è e che i provvedimenti che vengono proposti e approvati sono, piuttosto, il frutto di intese estemporanee. Non a caso abbiamo citato all’inizio il disegno di legge Cirinnà che attualmente tiene banco al Senato. Non si può certamente dire che esso sia espressione di una maggioranza di governo se è vero che una delle componenti del Pd non lo condivide e che anche gli alleati del Nuovo Centro Destra non lo vedono di buon occhio. Se, come è probabile, a conclusione del suo tormentato iter parlamentare, il Ddl sarà approvato, esso sarà, dunque, dovuto all’assemblaggio di una maggioranza variegata, raccogliticcia e tutt’altro che omogenea. È giusto e legittimo continuare a legiferare in questo modo? Non c’è il rischio che su questa strada si generi soltanto confusione e che portare avanti un organico progetto di governo si riveli impossibile? Costituire alleanze organiche in grado di dar vita a maggioranze fondate su un “comune sentire” è certamente impresa difficile. Del resto, se volgiamo lo sguardo al passato, non possiamo non accorgerci che anche il centro-sinistra che pure è stato, per molti anni, l’alleanza per antonomasia, è stato attraversato da ricorrenti turbolenze che lo hanno a più riprese messo in crisi. Ma, obiettivamente, ci sembra che la politica italiana stia ora vivendo quella che in senso lato potremmo definire una crisi di profonda irrazionalità. Per uscire dal ginepraio nel quale si rischia di precipitare potrebbe non esserci che una strada, quella di ricorrere agli elettori. Non è una soluzione praticabile a breve termine perché la nuova legge elettorale della Camera, l’Italicum, entrerà in vigore soltanto il primo luglio. Ma potrebbe essere un’ipotesi di lavoro per il prossimo autunno che - stiano attenti i partiti - è meno lontano di quel che possa sembrare.