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Filosofia del giornalismo e libertà di stampa

Opinionista: 

Cari amici lettori, a me piacerebbe molto affrontare ogni settimana un argomento radicalmente diverso dai precedenti. Questo, ahimè, è consentito agli artisti: chi scrive novelle o romanzi, compone canzoni o sinfonie dipinge quadri o affreschi, scolpisce statue o bassorilievi, disegna chiese o palazzi può spaziare con la fantasia; cosa che molti sedicenti artisti contemporanei fanno, spesso, al di là di ogni ragionevole limite. L’opinionista, invece, è vincolato agli eventi del giorno e, più esattamente, alle notizie. Vi sto proponendo, non a caso, un’antitesi apparentemente assurda fra fatti e notizie del giorno; la notizia, invero, dovrebbe rappresentare ciò che è accaduto nell’immediatissimo passato. Era così ed è sempre così finché ci sono libertà di stampa e stampa libera, due aspetti insopprimibili di una vera democrazia liberale. La libertà di stampa è la possibilità di narrare e commentare ogni specie di notizie. Essa è del tutto soppressa nei regimi integralisti (la Turchia di Erdogan e il Venezuela di Maduro, per fermarci agli esempi più recenti), che i giornalisti li schiaffano in galera senza tanti complimenti. Non va molto meglio, però, in altri paesi (come il nostro) ove il giornalista è tenuto a gonfiare le notizie gradite ai poteri palesi e occulti e a dimenticare quelle che non brillano per politically correctness. La stampa libera è composta da quei giornalisti che operano per informare il pubblico senza lasciarsi influenzare dalle preferenze del potere. La stampa libera rischia. Le epurazioni sono abbastanza frequenti in Rai e in altre Tv, ma anche nei maggiori quotidiani: conoscete bene i casi più recenti, ma ricordo a chi lo avesse dimenticato che Magdi Allam era vicedirettore al Corriere della Sera prima di aggiungere Cristiano al suo nome di battesimo. Accade così che vere e proprie fake news appaiano e suscitino valanghe di commenti prima di essere smentite o svanire nel nulla, che le cronache si nutrano di pettegolezzi malevoli o semplicemente sciocchi, che si faccia un mostruoso cancan su avvenimenti di scarso rilievo e che si tacciano del tutto fatti di notevole interesse. Voi vi starete certamente chiedendo la ragione di questa lunga premessa, che sa tanto di filosofia del giornalismo. Eccola. Sabato scorso 7 ottobre, in Polonia, innumerevoli fedeli (circa un milione), assiepati lungo tutti i confini nazionali, hanno recitato insieme un immenso rosario popolare per celebrare un doppio anniversario: la battaglia di Lepanto che, il 7 ottobre 1571, fermò sul mare l’impero ottomano e l’invasione islamica dell’Europa e l’apparizione di Fatima, che cento anni orsono profetizzò l’irrompere del comunismo in Russia e poi della seconda guerra mondiale. Sabato, domenica e lunedì i notiziari tv ci hanno fatto “’na capa tanta” con le manifestazioni di piazza pro e contro l’indipendenza della Catalogna, la carta stampata ci ha ossessionato con le poco interessanti diatribe fra Renzi, Pisapia e D’Alema e nessuno ha accennato a questo “Rosario al confine”, che anche Vaticano e Avvenire hanno ignorato. Non ne avrei saputo nulla se Antonio Socci non avesse descritto e commentato questo interessantissimo evento su “Libero” e sul suo blog “Lo Straniero”. Io sono molto grato a Socci, un uomo libero e coraggioso, per tutto quello che scrive. Lo seguo con grande interesse da quando lessi il suo libro su Medjugorje, che mi portò in quel santuario mariano dell’Erzegovina e, di conseguenza, ravvivò la mia fede appannata. Non posso, quindi, perdere quest’occasione per unire la mia voce alla sua e aprire un piccolo varco nell’assordante silenzio mediatico, aggiungendo il “Roma" a “Libero” nel servizio d’informazione al pubblico credente. Attenderemo, Antonio ed io, nella valle di Giosafatte, questi signori dell’informazione selettiva, curiosi di apprendere come giustificheranno il loro notizicidio.