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I frutti avvelenati dei manager pubblici

Opinionista: 

Qualche giorno fa tre donne sono state aggredite sessualmente da un immigrato clandestino nel quartiere Vasto di Napoli. In particolare, lo stupro di una giovane signora napoletana è avvenuto nell’area dei parcheggi di proprietà di una società delle Ferrovie dello Stato, quindi pubblica. Non ve lo racconto per unirmi al coro dei tanti che denunciano i rischi per i cittadini di una gestione del fenomeno migratorio del tutto superficiale e approssimativa, anche se si tratta di un giudizio che condivido completamente. Ve lo racconto per un motivo completamente diverso e che invece riguarda la superficialità con la quale spesso i manager delle società statali compiono le proprie scelte. Un criterio che è scandito dall’interesse esclusivo al proprio, piccolo, orticello da parte di chi esercita funzioni in qualche modo pubbliche, spesso senza alcuna visione lungimirante e finalizzata all’Interesse complessivo della collettività che pure rappresenta il fine ultimo della loro attività. Mi spiego. Chi usa quei parcheggi sa che, ormai da quasi un anno, questi luoghi, che erano sicuri e presidiati, sono diventati sporchi e sopratutto pericolosi. Pochi però conoscono perché. Il perché, appunto, ve lo racconto io. La società è stata costituita dalle Ferrovie dello Stato per gestire, in tutt’Italia, le aree di parcheggio che circondano le nostre stazioni. Tuttavia, nonostante abbia tanti dipendenti e dirigenti, non lo fa direttamente, come pure reciterebbe il suo statuto sociale, bensì affidandosi a imprese private, con le quali poi divide gli utili. E lo fa con contratti nei quali scarica integralmente sui partner privati la titolarità, il costo e sopratutto la responsabilità dei lavoratori che vi sono materialmente addetti. Questi lavoratori diventano così i terminali - le “canne al vento” - di un processo di apparente efficienza: in realtà, invece, il carrozzone pubblico si limita solo a drenare inutilmente risorse per autosostentarsi, mentre è il personale ad essere spremuto e precarizzato per garantire utili anche ai soci privati, senza i quali - ovviamente - questi ultimi non avrebbero alcun interesse ad associarsi con il pubblico. E così, in tempi di (finta) spending review, chi dirige questo carrozzone, in occasione del rinnovo del contratto di gestione dei parcheggi di Napoli, ha pensato bene di affidare il servizio all’impresa privata che si fosse offerta di farlo per il corrispettivo più basso, consentendole in cambio di non acquisire i lavoratori precedentemente addetti al servizio. Anzi, è stato addirittura previsto che quell’attività si potesse svolgere con un numero di lavoratori liberamente scelto dal privato. Risultato? Si è scatenata una guerra al ribasso che si è conclusa con l’assegnazione del servizio ad un’impresa privata che, per stare nei conti, ha mandato a casa tutti i precedenti lavoratori, introducendo un sistema di controllo cha ha rarefatto la presenza umana. E proprio grazie a questa rarefazione sono iniziate aggressioni, rapine e ora addirittura uno stupro. Ma non è “solo” questione di sicurezza negata: c’è un altro risvolto che pure merita di essere ricordato. Infatti, i lavoratori che prima lavoravano in quei parcheggi, circa 30, sono finiti tutti per strada. Dunque, la scelta di questi manager di stato è un disastro non solo per la vittima dell’orribile violenza ma anche per i licenziati. Non solo, un prezzo lo paghiamo anche tutti noi. E sì perché il processo a carico del clandestino e la sua permanenza in carcere la pagheremo noi, ma soprattutto i lavoratori licenziati, da produttori di reddito, sono stati trasformati, contro la loro volontà, in zavorra sociale. L’INPS, come è naturale e giusto che sia, sta pagando loro l’indennità di disoccupazione, che ora si chiama NASpI. Accanto a questo, siccome si tratta di nuclei privi di reddito, queste famiglie ora gravano sui conti pubblici anche per tutte le politiche di welfare e sanitarie. E, infine, se - com’è probabile, specie di questi tempi - queste persone non troveranno ricollocazione lavorativa altrove, ci sarà pure il costo sociale e collettivo dell’impoverimento di ciascuno di loro e delle loro famiglie. Un peso che appunto non riguarda soltanto loro, ma tutti noi, perché il licenziamento di una persona rende più povera e precaria l’intera comunità, non solo chi è il destinatario del provvedimento. Il saldo di questo operazione contabile è insomma drammaticamente negativo. E ci dimostra quanto la superficialità e la vista corta di chi compie scelte nella pubblica amministrazione - o comunque nel perimetro della cosa pubblica - possa rivelarsi dannosa ben oltre quello che si immagina. Ecco perché, prima di ogni cosa, occorre metter mano ad una riforma del perimetro ampio della pubblica amministrazione del nostro Paese, capace di sostituire miopi burocrati con professionisti capaci. Impossibile? Non direi, basta guardare alla Francia che, grazie all’Ena, la Scuola d’Alta Amministrazione, si garantisce l’ossatura della propria Pubblica Amministrazione. Un processo similare, per la verità, era stato avviato ai tempi dell’ultimo Governo Berlusconi. Da allora però la cultura dell’improvvisazione al potere ha marginalizzato un progetto di largo respiro come quello. Credo che la potente spallata alla nostra economia che ci aspetta, imponga di ripensarci. Come dimostra anche la farraginosa macchina degli “aiuti” pubblici post-Covid19, la burocrazia può fare più vittime di una pandemia.