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I Giovani e il Sud soltanto a parole

Opinionista: 

Il giugno 2020 sarà ricordato non solo per una prima, e speriamo durevole, uscita dal pandemico tunnel, ma anche per una sequenza di riflessioni “copernicane” su come rimettere in piedi la disastrata economia. Prima il Consiglio europeo, poi gli Stati generali nella storica Villa Pamphili di Roma. Tutto bene allora, cuori pieni di fiducia almeno per il futuro a noi più vicino? Non sembra tanto se si può affermare che “vi sono alcuni avvenimenti che diventano significativi perché non vi succede nulla”. La sorpresa è che si esprime così non un politico con la vocazione del pessimismo pregiudiziale e inguaribile, ma un uomo di consolidata pratica governativa come Romano Prodi. Sì, proprio lui che, nei lunghi anni da ministro e Presidentedel Consiglio, ha sempre mostrato un volto quieto e rasserenante (al netto della dovuta finzione), al punto d’essere soprannominato “mortadella” (per primo, forse anche come richiamo alle “saporite” origini emiliane, ne parlò Corrado Guzzanti). Sta di fatto che Prodi ha sempre tenuto un comportamento “felpato e flessuoso” da “pantera rosa”, l’antropomorfo personaggio immaginario dell’ispettore Clouseau.

*** RIPETITIVITÀ MONOTONA E NOIOSA. Quel che più avvilisce è che da troppo tempo la politica si esprime per schemi fissi, a tutti i livelli, nel mondo “globalizzato”. In Italia è perfino peggio. Nel maggior numero dei casi, quando un politico muove le labbra si sa in anticipo cosa vuole dire (e meglio sarebbe che non lo dicesse!). C’è un vocabolario fisso fatto di non più di cento parole che vanno bene in qualunque occasione e per qualsiasi argomento o problema (dal tasso di sconto agli accoppiamenti delle zanzare). Il colpo mortale arriva quando le bocche, in libera uscita, prendono a “pontificare” di Giovani e Sud. Nessuno che chieda pubblicamente scusa per l’improntitudine o per essere distante dal problema anni luce (come ciascuno di noi può esserlo dalla luna!). Ognuno vanta di qua e di là, d’aver fatto questo e quello col risultato che il problema Giovani e Sud è andato, e continua, sempre più giù sotto zero.

*** STUDIO E LAVORO. Sono problemi di cui Napoli, la Campania e il Mezzogiorno non hanno l’esclusiva, ovviamente. Di esclusivo hanno invece la persistente, storica, drammaticità. Il 14 settembre le scuole apriranno in tutta Italia. A Napoli e in Campania no. A quella data ben 130mila studenti non potrebbero nemmeno entrare (mancanza di spazi, istituti senza certificati di agibilità, aule non adatte alla didattica, niente distanziamenti). Rabberciato un piano all’ultimo momento, la ministra Lucia Azzolina, siciliana di Siracusa, viene contestata “perché l’istruzione è oggi l’emblema del Paese senza futuro”. Per la Campania si fa sentire Lucia Fortini: ”Se non fossi assessore, sarei in piazza a protestare insieme con docenti, studenti e famiglie”. Scansato il 14 settembre, si punta sul 24. Basteranno dieci giorni per mettere a posto tutto quello che a posto non è? Del resto se in gran parte del Sud non va bene per la scuola di primo e secondo grado, non meglio va per gli studi universitari. Il napoletano Gaetano Manfredi, rettore della Federico II e ministro dell’Università, fa i conti adesso con l’allarme lanciato dalla Svimez (Sviluppo Mezzogiorno): col prossimo anno accademico ci saranno 10mila iscritti in meno negli atenei. Ben 6mila 300 quelli meridionali (famiglie con redditi più magri e il primo taglio va a danno degli studi….).

*** FUGA CONTINUA. Negli ultimi 15 anni più di 2 milioni di giovani sono stati costretti a lasciare il Sud per il Centro Nord o l’estero. Regola perversa è che si va via non per scelta, ma per disperato bisogno di raggiungere il lavoro dove c’è chi lo offre. Adriano Giannola, presidente Svimez, parla di “eutanasia del Sud”. Di fronte alle 150 crisi aperte in Italia, per le regioni meridionali si prefigura un ulteriore arretramento, complice quell’autonomia differenziata che, per come viene pretesa, può rendere irreversibili distanze, divari e diversità.

*** ATTUALITÀ DI CARLO LEVI. A metà anni Cinquanta scrisse “Le parole sono pietre”. Oggi, di fronte al problema Giovani e Sud, le lacrime dei lavoratori agricoli di allora “non sono più lacrime ma parole, e le parole sono diventate pietre”.