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I gufi di domani I pagliacci di oggi

Opinionista: 

Minimizzare. Nascondere. Parlar d’altro. Mentre il referendum costituzionale sarà una gigantesca arma di distrazione di massa, l’economia reale continua a soffrire maledettamente. Domani l’Istat pubblicherà i dati del Pil nel secondo trimestre 2016. I numeri non conterranno la correzione al ribasso per effetto della Brexit - si è votato solo il 23 giugno - che potrà essere conteggiata soltanto nel trimestre successivo. Un particolare che fa sperare Renzi che i dati non siano negativi, così da poter dare fiato alle trombe in vista della campagna referendaria. Si tratta di un atteggiamento irresponsabile. Il Governo, invece di riconoscere che la situazione è grave e agire di conseguenza, continua a nascondere la polvere sotto il tappeto. Indipendentemente dai numeri che saranno diffusi domani, infatti, non c’è dubbio che l’economia italiana sia in frenata. Lo certificano gli ultimi dati che danno in caduta libera produzione industriale, fatturato dell’industria e commercio al dettaglio. Se non ne siete convinti, guardate l’aumento continuo dei depositi bancari: gli italiani non sono fessi, hanno capito l’antifona e mettono i soldi da parte. La frenata, inoltre, rende più difficile ridurre lo stock di crediti deteriorati che zavorra i bilanci delle nostre banche. Risultato: la stretta sul credito alle imprese continuerà. È chiaro adesso quanto sia stata azzardata la mossa del Governo di prevedere un Pil nominale addirittura al 2,2%. Un numero che 4 mesi dopo è già sideralmente lontano dalla realtà. Nel Def di aprile l’Esecutivo aveva sì inserito una simulazione in caso di shock negativi sulla crescita, gonfiandola però all’1,6%. Per Bankitalia, che non è esattamente un istituto d’opposizione, probabilmente staremo addirittura sotto l’1%. Questo vuol dire che, se andrà bene, cresceremo poco più della metà della stima peggiore. Se poi i dati del Pil sul terzo trimestre - che arriveranno in piena legge di Stabilità e conterranno l’effetto Brexit - dovessero segnare un’ulteriore correzione al ribasso, sarebbe una vera e propria bomba per i nostri conti pubblici. Il Governo dovrebbe tornare col cappello in mano dalla Merkel a chiedere ulteriore flessibilità (leggi deficit, cioè debito) all’Ue. Non solo. I dati sul Pil hanno al loro interno gli effetti positivi dei tassi zero e degli acquisti della Bce: circa lo 0,5%. Ciò vuol dire che la crescita indotta dalle fantasmagoriche “riforme” renziane vale meno dello 0,5%. Che forza. Ricapitolando: i gufi non erano gufi, erano gli altri ad essere pagliacci. Mentre l’edilizia resta in crisi (nulla è stato fatto per risollevarla) e la manifattura pare tornata in recessione, a tenere ancora a galla la nostra economia sono rimasti Draghi, l’agricoltura e il turismo favorito dalla situazione in Medio Oriente. Mettendo in fila i dati è difficile essere ottimisti. Anche perché se noi cresceremo meno dell’1%, l’area euro farà +1,6% e il Regno Unito +1,7% (dati Fmi). Ciò conferma che l’euro è stato fatto male, anzi malissimo, ma che la causa principale dei nostri problemi sta in casa nostra. Quali siano questi problemi è noto: tassazione assassina; spesa pubblica abnorme; debito intollerabile; giustizia lenta e diritto incerto per non dire inesistente; politica creditizia non pervenuta; il Sud abbandonato al suo naufragio e un sistema in cui non paga più nessuno, a iniziare dallo Stato. Sono questi i nodi che Renzi avrebbe potuto e dovuto affrontare e non ha affrontato. Punto. Per tutto il resto ci sono «i burocrati di Bruxelles», l’euro, i mercati cattivi e Deutsche Bank. Chi si accontenta gode. Ma fino a quando?