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Ignorata la formazione culturale e professionale

Opinionista: 

Sabato appena trascorso, l’ex ministro dell’Economia italiano Carlo Padoan – lo è stato per circa quattr’anni – è stato intervistato da Il Rifomista che gli ha chiesto quali riforme egli ritenesse indispensabili al Paese. La questione sembra sia divenuta d’impellente attualità: si badi, non per senso di responsabilità dell’Italia, Dio ce ne guardi, bensì perché posta all’ordine del giorno con irresistibile forza da molti Stati europei – non solo dai “frugali” – quale condizione per l’accesso agli indispensabili aiuti europei: ai quali, ci si può credere, non avremo ingresso, se non a patto di cambiare molte cose nel Belpaese. Bene. L’ex ministro ha posto tra le priorità ineludibili, una riforma del sistema d’istruzione italiano. Non c’è dubbio che egli abbia un gran numero di buone ragioni. Una comunità non è fatta della sua magistratura, della sua diplomazia, della sua dirigenza politica, dei suoi poliziotti, e via dicendo. Né è fatta dalle sue regole scritte o degli alati discorsi del suo clero, dei suoi anchorman, o ancora dei tanti bellimbusti che affollano gli spazi dei media ad ogn’ora del giorno e della notte. È fatta prima d’ogn’altro delle quotidiane e minimali condotte che ciascuno dei suoi cittadini (ivi compresi quelli che ne occupano gli apparati suddetti) pone in essere negli ininterrotti atti della vita. È fatta di quell’osservanza naturale, direi istintiva delle regole del vivere civile, di cui nessuna realtà associata può fare a meno senza finire prima o poi male. Certo, queste regole in nessun luogo sono sempre rispettate e soprattutto ci sono ovunque quelli che se ne fanno beffe o le strumentalizzano per propri fini. Ma, se una comunità è, come si dice, organizzata e cooperativa, i “devianti” sono in numero assai ridotto. E soprattutto, là dove si presentino queste violazioni, ancor prima dei gendarmi a reagire sono i cittadini che si accorgono di esse, e vi oppongono la riprovazione sociale. In Italia è da tempo accaduto il contrario. È accaduto che il modello anticoperativo di vita è divenuto il modello sociale di comportamento, quello applaudito. Quanto che si sta vedendo essersi verificato nella Magistratura italiana, è emblematico del livello di degrado in cui è caduto il Paese. In Magistratura – ed è quanto il dottor Palamara vorrebbe dimostrare con la sua lista di testi nutrita di ben 133 nomi che, c’è da prevederlo, non verranno ammessi – sembrerebbe essersi affermato un modello comportamentale fatto di relazioni personali familistico-clientelari, grazie alle quali magistrati desiderosi di notorietà, potere, effimero successo, sono disposti a rinunciare a tutta la propria dignità, pur d’acquisire cariche foriere di becero potere, da utilizzarsi, non per mantenere nella comunità ordine e valori, ma per conseguire per sé momentanea fama, favori, vantaggi indecenti. Insomma, la giurisdizione che dovrebbe servire a correggere marginali deviazioni di soggetti antisociali, è stata resa preda di asociali opportunisti e faccendieri di quart’ordine che, ovviamente, hanno piegato il potere di cui disponevano ad interessi propri ed a loro volta antisociali. Com’è avvenuto tutto ciò? Com’è avvenuto che in Italia non v’è quasi funzione pubblica che non si veda ognora a disposizione d’improbabili sovrastanti che ne fanno scempio perseguendo affari ed affarismi che con i loro compiti formali nulla hanno da vedere? Com’è avvenuto che lo stesso apparato della istruzione pubblica veda al suo interno – e spesso ai suoi vertici – improbabili ignoranti che dei compiti educativi non conoscono neanche il senso e che nemmeno ne hanno visto mai l’ombra? È accaduto proprio, come ci diceva il ministro Padoan, perché all’istruzione nel nostro disastrato Paese non s’è dedicato spazio serio alcuno da almeno cinquanta lunghi anni. Che significa circa tre generazioni di italiani che non hanno avuto contatti con la formazione culturale e professionale degni di questo sintagma: formazione culturale e professionale. Che vuol dire, creare un cittadino avvertito dei propri compiti, competente di quel che fa, consapevole del fatto che in ogni occasione in cui faccia prevalere il proprio interesse, contrario a quello del compito da lui svolto, addirittura piegandolo alle proprie brame, beh sta danneggiando se stesso e tradendo il mandato che ha ricevuto dalla comunità cui appartiene. In mandato per il quale la comunità l’ha formato, investendo su di lui. Un sentimento, questo, che non si crea a tavolino, né s’impone attraverso un giudice che ti condanna in quel caso su mille – meglio, su centomila – in cui ti scopre, magari quello stesso giudice che si ritrova nelle cronache mondane in compagnia di faccendieri o similari soggetti asociali. Ma s’ottiene attraverso un corretto percorso educativo, retto e condotto da docenti di qualità adeguata, i quali riescano a far percepire il delicatissimo valore della socialità, fatto di sensibilità che s’acquistano con la lenta gradualità dell’applicazione, dello studio, dell’osservazione dell’esempio, del gusto che si matura per la rinunzia all’immediato in vista del mediato: mediato che altro non è se non la lunga durata, il senso di dovere dare più che avere, nella contezza che si è sulla terra non solo per usurparla, ma per migliorarla e lasciarla a chi ci seguirà un po’ migliorata, grazie anche al nostro impegno, che trasmette la soddisfazione d’aver fatto qualcosa che ci renderà duraturi, se non nel ricordo, almeno nelle azioni compiute. Questo, il difficilissimo compito, da noi assegnato oggi al ministro Azzolina, ieri al ministro Bussetti, l’altro ieri al ministro Fedeli, e prim’ancora ai ministri Giannini, Carrozza e via via sopra dicendo. Prestereste voi del danaro ad un simile popolo?