Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Il cadetto della Nunziatella e 800 milioni di mascherine

Opinionista: 

E così, mentre stavamo ancora a chiederci chi fossero Michetti e Maresca (il primo ha peraltro autoironizzato sulle nostre perplessità inondando Roma di manifesti giganti dove era scritto Michetti chi?, il secondo è notissimo soltanto tra camorristi e cronisti di giudiziaria), Domenico Arcuri ha dato ragione a tutti quelli che, nel corso degli ultimi 18 mesi, andavano profetizzando: “Vedrete, prima o poi lo beccano con le mani nella marmellata”. E così, mentre de Magistris liberava la scrivania a Palazzo San Giacomo di tutti i suoi portafortuna colorati che neanche una bancarella della Duchesca, e rimetteva nello scatolone la foto dello zio Ernesto Che Guevara, e minacciava che avrebbe continuato a lavorare per il bene e il progresso di Napoli, arriva la notizia che Domenico Arcuri è indagato. Ora, atteso che indagato non fa rima con imputato nè con condannato, alzi la mano chi ha pensato "Mi dispiace". Dunque i magistrati romani vogliono sapere dal supercommissario, che ha studiato alla Nunziatella a Pizzofalcone, la storia e il percorso tortuoso di circa 800 milioni di mascherine (800, avete letto bene) arrivate in Italia nella primavera del 2020 e spedite indovinate da dove: ok, avete indovinato, dalla Cina. 800 milioni di "presidii sanitari individuali" che non servono a nulla e che, anzi, sono pericolose per la salute. E pensate ai finanzieri che le hanno sequestrate e adesso non sanno dove conservarle. 800 milioni: chi le ha ordinate, quanto le abbiamo pagate (noi, tutti gli italiani), le procedure di acquisto, soprattutto chi ha fatto da intermediario in questa gigantesca operazione di import della paura, chi si è arricchito e quanto, mentre i camion militari portavano chissà dove le bare dei nostri morti per poi farci sapere dove andare a ritirare le scatole con le ceneri di genitori e fratelli che non ce l'avevano fatta. Perché queste immonde alchimie finanziarie avvenivano mentre noi eravamo tappati in casa con l'angoscia della morte e col terrore di una telefonata asettica che all'alba potesse arrivare dall'ospedale per comunicarci che "purtroppo ...". E spesso senza neanche il "purtroppo", perché le telefonate da fare ogni mattina all'alba erano molte e non c'era tempo nè spazio per la pietà. Il super commissario che voleva commissariare tutto, anche il condominio di casa nostra, è stato interrogato dai magistrati e una nota del suo ufficio stampa informa che "il dottor Arcuri ha chiarito in maniera esaustiva la propria posizione" sulla faccenda delle mascherine pezzottate. Il mio regno per un cavallo, implorava disperato Riccardo III durante la battaglia nella tragedia di Shakespeare. Noi non abbiamo regni e neanche un cavallo e non siamo disperati (e se lo siamo non è per Arcuri). Ma sarebbe interessante scoprire cosa abbia detto l'ex cadetto di Monte di Dio ai magistrati. Ma soprattutto "come" lo abbia detto. Probabilmente non con la stessa aria annoiata e un poco infastidita con cui ogni giorno, alle 18 in punto a reti unificate, informava gli italiani con tono monotono sul numero dei morti e rispondeva irritato alle domande dei giornalisti. Stiamo facendo, stiamo operando, stiamo affrontando l'epidemia. Voi restate in casa, stiamo lavorando per l'Italia. Così diceva il super commissario. E noi lì, nella cucina di casa, blindati dal terrore, ascoltavamo e annuivamo. Con il cuore che batteva impazzito e ci saliva alla gola se arrivava uno squillo inatteso.