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Investimenti esteri, il ritardo si chiama Sud

Opinionista: 

Ide è una sigla di moda da alcuni anni in Italia per sintetizzare l’espressione investimenti diretti esteri. In sostanza, gli ide sono un parametro attraverso il quale si valuta quanto un paese risulti attrattivo per la localizzazione di un nuovo impianto e per altre analoghe decisioni aziendali. Il Bel Paese è al penultimo posto della graduatoria tra quelli della zona euro. I 281,3 miliardi di euro di risorse d’oltre confine affluite nell’anno di grazia 2014 costituiscono appena il 17,4% del prodotto interno lordo nazionale. Peggio sta solo la Grecia col suo striminzito 8,5%. Stati assimilabili all’Italia per consistenza economico produttiva, come la Germania e la Francia, hanno incamerato fondi esogeni, rispettivamente, per poco più e per una spanna meno di 550 miliardi di euro. Se si tara il dato, tuttavia, si vede che le distanze non sono così abissali. Il rapporto tra ide e pil in Germania, infatti, non supera il 19,3%. I francesi, a dispetto del loro viscerale nazionalismo, sono più esterofili (25,6%). Ma, in ogni caso, sia Germania che Francia sono posizionate appena un gradino sopra di noi (terzultimo e quartultimo posto). Gli stati di maggiore dimensione, insomma, risultano meno affascinanti per le truppe imprenditoriali straniere. Non a caso, alla sommità della classifica si trovano Malta, Lussemburgo e Cipro, col granducato sede di multinazionali che, come sottolinea una recentissima indagine della Cgia di Mestre, “beneficiano della fiscalità di vantaggio concessa alle imprese da questo paese”. Lo stesso studio, tra l’altro, segnala per l’Italia un’inversione di tendenza. Nel 2014 l’incremento degli ide rispetto all’anno precedente è stato del 3,5%. Solo Slovenia e Finlandia, tra gli altri paesi, hanno fatto registrare il segno più: altrove gli ide si sono ridotti. Vero è che i numeri, se non interpretati, rischiano di depistare. L’aumento italiano, ad esempio, per la gran parte è dovuto ad acquisizione da parte estera di “pezzi importanti del nostro made in Italy”, piuttosto che a nuovi insediamenti. Se poi si dà un’occhiata al 2013, ultima annualità per la quale sono disponibili i dati per ripartizione geografica, si capisce immediatamente per quale misterioso motivo (si fa per dire!) l’Italia è penultima sul fronte ide: l’incidenza di tali investimenti per l’intero Mezzogiorno è stata di appena il 2%! Basterebbe, insomma, rilanciare seriamente le politiche industriali e di riequilibrio territoriale per recuperare il ritardo con la Francia o almeno con la Germania.