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L’apocalisse delle migrazioni

Opinionista: 

Non c’è miglior incipit per commentare il viaggio americano di Papa Francesco che le parole con le quali Ban Kimoon ha accolto il Papa nel Palazzo di Vetro dell’Onu: “Santità, grazie di fare la storia”. Ed ancora: “Lei porta la speranza” sono le parole con le quali Obama ha accolto il Papa. “Ed io vengo come figlio di una famiglia di emigranti”, ha risposto il Pontefice. Paradossalmente, ma non tanto, il discorso sembra essersi invertito: il messaggio universalistico ed ecumenico è venuto dal politico uomo di governo; quello pragmatico e preoccupato dei problemi del mondo contemporaneo è venuto dall’autorità spirituale del capo della cristianità. Sia l’uno che l’altro però hanno saputo cogliere il nodo cruciale, dolorosamente pulsante, della realtà contemporanea: un mondo attraversato da migrazioni si può ben dire “bibliche” che toccano ormai tutti i Paesi e tutti i Continenti. Come ha giustamente osservato Vittorio Zucconi la Provvidenza (o il segno dei tempi per chi non crede) ha voluto che i due uomini più potenti del globo si incontrassero alla luce di una comune esperienza: “Aver vissuto dal basso le condizioni reali della società umana”. Ed è da questo bubbone che fuoriesce tutto il marciume che sta invadendo questa terra che, come dice Bergoglio, Dio ci ha dato come casa di tutti e per tutti. È l'apocalisse delle migrazioni che ha generato e continua generare guerra, odi tribali e religiosi, miseria, fame, sopraffazione, violenza omicida sulle persone, stupro di uomini e di luoghi-simbolo della cultura e dell’arte. Se si rileggono tutti gli interventi e si riflette sulle parole- chiave del linguaggio di Bergoglio, si scoprirà l’elaborazione di una e vera e propria predicazione dell’amore del prossimo, del prossimo bisognoso certo di misericordia, ma anche di atti concreti e dunque: attenzione ai più deboli, ai poveri e agli ultimi, attenzione per la natura aggredita dall’egoistica rincorsa allo sfruttamento delle risorse e al profitto, per il ripudio della guerra e la sollecitazione alla pace rivolta ai governanti di tutto il mondo, rispetto della sacralità della vita in ogni suo momento e dunque la coraggiosa richiesta dinanzi al Congresso americano di abolire la pena di morte e di porre fine alla vendita di armi. Talvolta, sentendo le parole del Papa, sono preso dal dubbio che tutte le teorie filosofiche e socio-culturali sull’esigenza etica e politica dell’interculturalità, nascondano un retroterra retorico e astrattamente ideologico. Ma poi mi son reso conto che non esiste una definizione migliore di interculturalità di quella enunciata da Francesco dinanzi al Congresso degli Stati Uniti. Parlando delle migrazioni e dell’emergenza dei rifugiati come “la più grave crisi dai tempi della seconda guerra mondiale”, il Papa ha invitato i politici e in generale i cittadini del mondo ricco ed opulento a non temere il gran numero di altri esseri umani che bussano alla porta dell’Europa e dell’America. Queste moltitudini “dobbiamo vederle come persone, guardando i loro volti e ascoltando le loro storie”. Non sono, lo ripeto, parole che restano un mero flatus vocis ben presto destinato ad essere zittito dal clamore di una società intrisa di egoismo e di violenze perpetrate non solo dal fanatismo religioso, ma anche dalle ideologie e dai sistemi economici dominanti. Francesco in un luogo che è la casa dei politici americani ha dato una lezione altissima su ciò che bisogna intendere come fine dell’attività politica. Essa deve “servire e promuovere il bene della persona umana e (…) non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza”, deve impegnarsi a realizzare il più grande dei beni comuni: “vivere insieme nell’unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quella di una comunità che sacrifichi gli interessi particolari per poter condividere, nella giustizia e nella pace, i suoi benefici”. Ritengo che sia non solo sbagliato, ma del tutto inutile - giacché Bergoglio ha ancora una volta fatto capire che non ha certo intenzione di fermarsi nell’opera di evangelizzazione e di conversione delle coscienze al bene comune – appioppare etichette al suo agire e al suo pensiero: comunista, socialista, populista, demagogo. Molto semplicemente siamo al cospetto di una radicalizzazione del messaggio di pace, di fratellanza, di giustizia, di amore del Cristianesimo, di una rinnovata teologia della giustizia e della misericordia.