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La commistione tra giustizia e politica

Opinionista: 

Che anche l’occhio voglia la sua parte, Vincenzo De Luca sembra non averlo inteso. Con quelle candidature “impresentabili” che, volenti o nolenti, hanno conquistato le pagine nazionali - per non dire dell’alleanza in limine con il vecchio arnese democristiano Ciriaco De Mita - l’ex sindaco di Salerno s’è consegnato all’album degli orrori elettoralistici, mostrando anche i limiti che la dimensione provinciale nella quale s’è formato, è del tutto inadatta quando lo spazio di riferimento cresce. Transfughi, condannati, arrestati, famigli e familiari di camorristi, nulla s’è fatto mancare, nella spasmodica corsa verso Palazzo Santa Lucia, un luogo molto accogliente a giudicare da quanto si fa per accomodarvisi. Quasi sembrerebbe un’alcova. Altrimenti, perché coltivare simili compagnie pur di raggiungerlo? Ma scrivere di queste cose ha un po’ il sapore dell’accodarsi alla demagogia, nel dare addosso al politico di turno. Perché quello che sul versante della legalità spaventa di più, non sono quei due tre, quattro o anche cinque nomi d’accoliti presenti nelle liste del partito della legalità – il Pd, che in quel segno ha costruito il suo antiberlusconismo – quanto piuttosto i due morti ammazzati in Fratte di Salerno per problemi di competenza territoriale nell’attacchinaggio. Un litigio tra medi boss ha disvelato anche per affiggere un solo manifesto è necessario rivolgersi alla criminalità organizzata, che si spartisce il territorio con assoluto rigore, esigendo il rispetto delle competenze, territoriali appunto, non meno di quanto non accada tra amministrazioni dello Stato, che siano Comuni o Prefetture. Insomma, a gestire le elezioni - a gestire la realtà vera delle elezioni - bisogna pur prenderne atto, non sono appunto Comuni e Prefetture, ma la criminalità organizzata, che non fa passare alcunché se non attraverso i suoi canali. Ed uccide, ripeto uccide, se qualcuno s’azzardi a disconoscerne l’autorità. Che poi si facciano le viste della meraviglia perché alcuni delinquenti siano presenti nelle liste, beh questa è schietta ipocrisia, borghese ipocrisia, come quella di quando i regolamenti di polizia ammettevano che le case d’appuntamento prosperassero, purché non visibili e quindi inoffensive della morale dei frequentatori benpensanti. Bisognerebbe piuttosto plaudire a quei candidati onesti e coraggiosi, che pur ci sono, e che affrontano l’inaffrontabile, per interpretare con sincerità il compito di rappresentare la torbida ma genuina istanza della base. Ma queste elezioni ci stanno facendo assistere anche ad altro. Se c’è una cosa che la realtà italiana dovrebbe rifuggire come la peste, è la commistione tra giustizia e politica. Il ricorso testimonial del Movimento 5stelle ci ha dato solo un assaggio di quel che sarà il prossimo futuro della Regione Campania. I grillini hanno contestato la lista di De Luca, sostenendo che l’incandidabilità del candidato presidente avrebbe dovuto comportare l’esclusione dell’intera lista. Giuridicamente è una sciocchezza, perché la legge Severino – pessimamente concepita – consente la candidatura, ma impedisce, nelle condizioni del De Luca, l’esercizio della carica: un assurdo, ma tant’è. Il problema, però, è che una volta che venisse eletto, comincerà un palleggio tra politica e giurisdizione senza fine. Tanto per capire, De Luca dovrà essere sospeso. Lui ricorrerà dinanzi ad un giudice, che non sappiamo nemmeno quale sarà, perché si capirà solo dopo le elezioni, quando la Cassazione stabilirà - rischiando di provocare una frana anche a livello comunale, con de Magistris - se competente è il Tar o il Tribunale. E dopo la decisione del giudice in via d’urgenza, ci sarà un’impugnazione, a seconda dei casi del De Luca o dei suoi avversari. E poi ancora, ci sarà a doversi pronunciare, la Corte Costituzionale. E poi ancora, ci saranno i vari giudici penali, quelli in appello sulla condanna già inflitta al De Luca e quelli che ancora lo devono giudicare in primo grado: la cui condanna - a seconda degli esiti che avrà il giudizio in Corte costituzionale, sempre che ci sarà - potrà comportarne la sospensione e poi la decadenza dalla carica. Insomma, v’immaginate voi cosa potrà voler dire per la Regione Campania - non proprio un austero chiostro di clarisse - la totale incertezza che seguirebbe all’elezione del Nostro? E lo scorrere d’interferenze sotterranee tra i vari palazzi del potere - politico e giudiziario - che tutto ciò provocherebbe? È serio che questo venga consentito dal partito di governo, quello che ha la maggior responsabilità delle istituzioni? Ed allora, direi che quattro o cinque candidati eventualmente targati d’impresentabilità, sono davvero il minore dei problemi. Per evocare una famosa metafora ottica (con gli occhi s’è aperto questo articolo), siamo come coloro che vedono gli alberi ma non il bosco.