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La crisi parallela di destra e sinistra

Opinionista: 

Ma destra e sinistra esistono ancora? O sono categorie sopraffatte dal tempo e, soprattutto, dal tramonto delle ideologie? L’interrogativo non è nuovo e su di esso si sono esercitati in vario modo filosofi, politologi e giornalisti (memorabile, al riguardo, il saggio di Norberto Bobbio). Non ci uniamo agli autori di queste esercitazioni che richiedono competenze maggiori delle nostre e spazi ben più ampi di quelli consentiti in un articolo. E, tuttavia, guardando alla situazione in cui oggi versano le forze politiche, non possiamo fare a meno di rilevare che, in effetti, destra e sinistra sembrano giacere sotto le macerie. Cominciamo dalla sinistra, identificandola, sia pure con qualche approssimazione, nel Partito democratico, attualmente spaccato in due tronconi: da un lato la maggioranza renziana decisa a realizzare le proprie riforme che dovrebbero mutare radicalmente il volto costituzionale del paese; dall’altro la minoranza nella quale si riconoscono vecchi leader di matrice comunista, come Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, che a queste riforme drasticamente si oppone, pronta ad esprimere pubblicamente il suo voto contrario, contraddicendo - ironia della sorte - quella prassi del monolitismo che fu propria della loro casa d’origine, il Partito comunista. Molti mediatori sono all’opera e, almeno per ora, la loro azione non sembra aver successo. Ma se anche, alla fine, riuscissero a trovare una soluzione di compromesso, in grado di salvare capra e cavoli, il problema di fondo non sarebbe comunque risolto perché la divisione che lacera il Pd non riguarda questo o quel provvedimento specifico, ma il modo stesso di concepire il significato dello stare a sinistra che, per il renzismo, si fonda su una linea di assoluto pragmatismo, inspirato alla famoso frase del leader cinese Deng Xiaoping, per cui “non importa se il gatto sia bianco o nero, quel che importa è che prenda il topo”, mentre per gli oppositori del premier- segretario, non può prescindere dal suo ancoraggio ideologico. È lecito chiedersi, a questo punto, quale sia, nell’anno 2015, la sinistra e, addirittura, se una sinistra esista ancora o se, quella che con una certa superficialità chiamiamo sinistr non sia, in realtà, l’ibrido agglomerato di due distinte formazioni politiche che ben poco hanno a che vedere tra loro: una volta a costruire una sorta di “partito del fare”, l’altra tenacemente attaccata alle sue origini. Non dissimile è la situazione sul fronte politico opposto. La destra (nella sua accezione più recente e nella quale dobbiamo ricomprendere tutti i gruppi nati dal nucleo originale di matrice berlusconiana che fu, a sua volta, la sommatoria di formazioni diverse, cementate dall’avversione nei confronti della sinistra) sembra attraversare una fase di totale disorientamento. È vissuta, finora all’ombra di un leader carismatico (del quale le forze di destra sembrano avere assoluto bisogno) e non è certamente dovuto al caso che, all’appannamento della figura di Berlusconi, abbia corrisposto la caduta progressiva dello schieramento che si riconosceva nella sua leadership. Non solo, ma la perdita di “appeal” del “capo” ha indotto molti aspiranti leader, sprovvisti, peraltro, di ogni carisma, a scendere in campo su posizioni autonome che hanno prodotto come unico risultato una devastante frammentazione dello schieramento di destra. In queste condizioni, come i sondaggi ampiamente rivelano, affrontare una competizione elettorale avrebbe per la destra conseguenze a dir poco devastanti anche perché, puntando tutte le sue carte sul carisma del leader, quando questo carisma è venuto meno, è venuta meno anche la sua forza di attrazione, quella che Enrico Berlinguer avrebbe definito la sua “spinta propulsiva”. La crisi parallela della destra e della sinistra è irreversibile o c’è ancora lo spazio per un recupero? È molto difficile poter dare una risposta a questo interrogativo. Quel che si può constatare - e il fenomeno non è solamente italiano – è che questa crisi ha finito con il dare spazio a movimenti populistici (in Italia alla Lega di Matteo Salvini e ai “Cinque stelle” di Beppe Grillo) che devono il successo del quale godono al consenso di un elettorato qualunquista - un qualunquismo che può avere la sua matrice indifferentemente a destra come a sinistra – che si fonda su stati umorali più che razionali. Non ci sembra un fatto positivo nel momento in cui la macchina della politica è chiamata ad affrontare trasformazioni epocali che richiederebbero l’esperienza e la lucidità di piloti navigati.