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La società civile è contro l’autonomia a danno del Sud

Opinionista: 

Il professor Gianfranco Viesti non è solo un apprezzato economista, ma anche un grande comunicatore. In suo recentissimo intervento ci ha spiegato che, con l’autonomia differenziata, le tre Regioni del Nord che hanno definito schemi d’intesa con il Governo Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) avanzano la richiesta di svolte così radicali che, anche se perdessero qualcosa nel corso della trattativa, finirebbero comunque per procurarsi notevoli vantaggi, a scapito del resto del Paese. Sarà quindi molto dura per il Mezzogiorno evitare di subire una ennesima beffa, anche se finora si è comunque posto un argine a un progetto di riforma tanto profondo quanto celere nelle sue prime fasi di attuazione. Con acume, Viesti ha sottolineato anche un altro punto centrale della questione: finora chi si è opposto alla secessione dei ricchi, oltre che lo stesso economista pugliese, è stata la cosiddetta società civile. L’opposizione parlamentare è rimasta per gran parte silente, si è ridestata dal lungo torpore soltanto quando ha visto che, soprattutto sotto il Garigliano, qualcuno aveva cominciato a scalciare, a gridare “al ladro”, a dimenarsi per sfuggire a un nuovo estenuante salasso. I campioni del “no all’autonomia” sono stati infatti studiosi di economia, costituzionalisti, industriali, giornalisti, sociologi (anche del Nord), perfino sindacalisti. I parlamentari meridionali sono stati praticamente a guardare, accodandosi alla protesta dell’intellighentia locale solo quando il dibattito pubblico su una questione così dirimente per il futuro del Paese si era finalmente ravvivato. Con l’ulteriore paradosso che, a difendere le ragioni del Sud e, per la verità, anche di altra ampia parte del Paese, sono stati soprattutto il ministro Barbara Lezzi e la pattuglia meridionale dei Cinquestelle. La domanda da porsi, allora, è: ma cosa fanno i parlamentari meridionali? Seguono proposte e disegni di legge? Rappresentano gli interessi delle popolazioni del Sud, pur in uno scenario nazionale ed europeo che ha delle sue logiche e che impone delle sue direttrici di marcia? Il sospetto che facciano altro, che “pensino” ad altro, nasce dai fatti. Come si spiega, altrimenti, che da dieci anni nessuno denuncia forte e chiaro che il federalismo finora realizzato è solo quello che interessa al Nord? Perché non ci sono mai state levate di scudi, mobilitazioni, per la mancata definizione di quei Lep, i livelli essenziali di prestazione, che consentirebbero di avvicinare lo standard dei servizi pubblicati erogati nel Mezzogiorno a quello di altre aree dello Stivale?