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La tradizione? Di rigore la storia dei luoghi

Opinionista: 

Nella sconfinata produzione letteraria saggistica e giornalistica di Pier Paolo Pasolini, svettano questi celebri e popolari versi, tratti dalla raccolta “Poesia in forma di rosa”, tra i più citati al mondo: “Io sono la forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle Chiese , dalle pale d’Altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini”. Versi, mai come in questi giorni, sentiti vivi in me, per una duplice intensa esperienza. Non solo per essere stato dentro questo “itinerario dell’anima” nel seguire i cortei carnevaleschi in alcuni centri storici dell’Alta Irpinia- del Sub- Appennino meridionale- ma anche per averne sentito la “forza”, il suo irriducibile intreccio sulla faccia dei luoghi. Cioè: in quel flusso, in cui niente è isolato e separato, ma ogni cosa passa nell’altra, passato e futuro si fondono e ogni presente porta con sé. E che nulla che una volta è stato vero, può essere dimenticato e che i sacrifici del passato bruciano ancora. Tornando però, dopo la festa, alla normale quotidianità, devo dire che, all’emozione suggestiva, è subentrata la riflessione più meditata e franca. Da tempo non si parla che di borghi, se ne tessono gli elogi, se ne studiano le potenzialità, si tengono convegni di ogni sorta, in particolare su tradizione e tradizioni, puntando a far passare l’idea che qualcosa si muova. In realtà non è poi così. Ci si trova spesso davanti a “copertine senza capitoli”, una metafora molto cara a un grande indimenticabile meridionalista Francesco Compagna, che vi faceva ricorso per liquidare le approssimazioni o i programmi superficiali delle istituzioni ad ogni livello. Poiché questa è la stagione delle tradizioni più popolari, se le si vuole approfondire, valorizzare sul serio, è indispensabile la conoscenza della storia locale. L’antropologia aiuta molto, nessuno ne dubita ma generalizza. Le sue analisi hanno le stesse applicazioni ovunque; la storia locale, invece, spiega i dettagli, li specifica, ci informa su come sono giunte a stare le cose. Un corretto e concreto discorso promozionale non può prescindere da queste indiscusse credenziali. Anche per proporsi e inserirsi in progettualità di più vasto respiro, mutuarne le direttrici, come quella, ad esempio, lanciata qualche anno fa dal professor Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, l’autorevole studioso, innamorato della civiltà rurale e irriducibile sostenitore di una “ricostruzione materiale e immateriale di un grande territorio, l’Appennino. Una sfida sintetizzata in una premessa e in una serie di obiettivi precisi: “Salvare l’Appennino è essenziale per il futuro del Paese; l’Appennino è la struttura portante, la spina dorsale, senza la quale il sistema si scioglie verso il mare l; l’Appennino è il serbatoio di quell’anima contadina di sobrietà e di sacrificio, che ci ha permesso di superare le crisi economiche in ogni tempo; l’Appennino è il luogo in cui per secoli non ci si è consegnati alla rassegnazione o al risentimento. I giovani andavano al fronte o partivano per terre assai lontane e i vecchi e i nonni li sostituivano nei campi. L’Appennino è il luogo dove, malgrado tutto, sono nate decine di iniziative di grande successo; è il luogo, cosa non secondaria nella crescente debolezza valoriale, dove sono racchiuse straordinarie memorie culturali, artistiche, devozionali di vita comunitaria. Decisiva nei secoli nel fronteggiare e superare ogni emergenza, di vario segno di calamità naturali e di carattere epidemico, nel sacrificarsi, lasciando i luoghi delle radici, famiglie e affetti per trovare altrove un futuro. In conclusione: non se ne può più, di un contesto promozionale culturale, confuso, una melassa di “precotti” regionali, un “catering” valido per tutti i territori e gusti, fatti passare per progetti, in realtà, troppo spesso “ideuzze” per giunta ripetitivi. Diceva un amico e collega molto rimpianto, prestigioso critico letterario, Francesco Durante: “Qui non si premia l’idea, bensì il modo con cui viene portata a corte”. È arrivato il momento di forzare sapientemente certi logori schemi e sollecitare nelle scuole l’insegnamento della storia locale come materia di studio. Ho visto molte scolaresche vivere la festa con entusiasmo, educhiamole anche alla buona lettura, che apre orizzonti e possibilità stimolanti e appaganti.