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La voglia di svelare il proprio lockdown

Opinionista: 

La straordinaria fioritura di una letteratura da lockdown appariva l’esito scontato di un clima onirico e sospeso. Un periodo oggettivamente storico che stimolava una superstite memoria di un tempo crepuscolare. Ma il dopo ha superato ogni aspettativa. Ognuno ha voluto manifestare la centrifuga delle proprie emozioni, del proprio, inconsapevole silenzio, di quella disperata sfilata di numeri e di morti. Ed in libreria, sono arrivati volumi di tutti i tipi, segnati dall’intimo, dalla propria vicenda personale, dall’ansia di quei giorni difficili. Sembra quasi che, in quel periodo, la gente si sia catapultata sul computer per non perdere le emozioni quotidiane di quella storia, per mettere sotto custodia, al sicuro, quella cronaca forse irripetibile. Una riflessione costruita oggi solo in chiave europea. Ora che il virus imperversa dall’altra parte dell’Atlantico, è scontato attendersi, entro la fine dell’ anno, l’onda delle emozioni di tanti personaggi più o meno famosi che affideranno a milioni di pagine l’estro creativo di questi giorni. Un altro tsunami di volumi destinati a chiudere, si spera, l’inventario storico ed emozionale del virus. Ma l’Italia resta il regno delle contraddizioni. E mentre tutti scrivono, si lasciano intervistare, partecipano in giacca e cravatta all’ inutile parata degli Stati generali, ecco chi preferisce restare in silenzio. Nel piazzale del Duomo di Milano, domenica scorsa, centinaia di protagonisti dello spettacolo, regolarmente distanziati come prevedono le norme attuali, imbavagliati dalla canonica mascherina, hanno proposto di spegnere i microfoni. Il silenzio della musica in risposta al silenzio della politica. Una festa paradossale, celebrata con un flash mob silenzioso al quale hanno aderito, insieme ai più importanti cantanti italiani, tutti i lavoratori del settore. Tutti vestiti in nero, tutti vestiti a lutto, per celebrare il concreto rischio della morte di quel settore. Anche questo è memoria. Fotografica, documentaria, archivistica per un periodo che stimola mille, diverse passioni e scomposti turbamenti. Un dolente canto parallelo segnato da quell’impellenza di autoraccontarci che, come ricorda Roberto De Simone, è angolatura tipicamente partenopea.