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L’abusivismo edilizio è ampio e diffuso

Opinionista: 

Di tanto in tanto fa notizia che immobili abusivi cadano sotto i rigori della legge, presentatisi sotto forma di vigorose ruspe. La scorsa settimana è stato il caso di quattordici famiglie di Terzigno, in provincia di Napoli, che hanno perso la loro abitazione per effetto di alcune sentenze emesse dalla Magistratura e dalla stessa eseguite. Il fatto stesso che queste vicende facciano notizia depone nel senso dell’eccezionalità di simili episodi; si calcola in realtà che solo il 3% delle realizzazioni abusive siano effettivamente demolite; la mia opinione è che il dato sia notevolmente sopravalutato. Il Presidente della Giunta Regionale De Luca aveva qualche tempo fa invitato a riflettere sull’opportunità di varare un regime che ponesse fine all’assurda situazione in cui vive questo fenomeno. Intere realtà sono abusive, tutti sanno che è impossibile ricondurle a norma, tutti sanno che è impossibile procedere a generalizzate demolizioni, sia perché i costi sarebbero elevatissimi, sia perché non c’è come smaltire i rifiuti prodotti né come rivitalizzare gli spazi devastati che residuerebbero, sia perché ne verrebbero fuori quanto meno sommosse. C’è anche di più, da considerare. L’ultima vicenda aveva dei tratti di peculiarità: tutti o parte dei proprietari degli immobili non erano al corrente, al momento dell’acquisto, del carattere abusivo dell’opera, perché dotata di concessione edilizia. Ma questo è un caso abbastanza eccezionale; il problema più profondo è un altro. Quando a distanza di decenni – in quest’ultimo caso, di circa un trentennio – si decide la demolizione d’immobili e si privano le famiglie della loro abitazione, si commette un autentico atto d’arbitrio legalizzato. Facile comprenderne il perché. La massa degli abusi, si diceva, è enorme. Per decenni si è lasciato correre ed una fiorente economia s’è sviluppata intorno all’edilizia abusiva. Ancora oggi, l’abusivismo è ampio e diffuso. Ora, se da questo estesissimo tessuto edilizio – anche più esteso di quanto non sia stato formalmente rilevato (perché sono tantissimi gli ampliamenti e gli abusi cosiddetti minori) – si estraggono per così dire a sorte alcuni malcapitati e si lascia il contesto illegale nella sua generalità intatto, evidentemente non è stata svolta meritoria opera d’affermazione della legge. La legge si sostanzia per un dato di fondo che ne costituisce l’ontologica essenza: deve essere uguale per tutti. L’atto arbitrario, invece, si differenzia dalla legge, per essere frutto di sostanziale violenza – fisica e/o morale – perché disposto secondo il libito del detentore del potere. Quando il senso dell’arbitrio prevale e si lascia avvertire dai più, e quando questo senso dell’arbitrio è il frutto non voluto di atti addirittura dovuti della magistratura, evidentemente l’effetto che esso produce non è quello sano che nelle società ordinate fiorisce dall’attuazione della legge: e cioè la soddisfazione per l’affermata legalità e la prevenzione rispetto alle future condotte che presumibilmente si asterranno dal porre in essere abusi analoghi per evitare d’incorrere negli stessi rigori. No, questo non è ciò che produce la più o meno casuale demolizione di uno o più tra gli infiniti immobili abusivi, risalenti, recenti e futuri, capillarmente diffusi sul territorio nazionale, e peculiarmente concentrati in quello campano. L’effetto che si produrrà sarà quello che sviluppa dall’ingiustizia: frustrazione, rancore, disprezzo per le istituzioni, in chi lo subisce; tendenza a solidarizzare, disincanto da parte di chi assiste; poco o nessun risultato in termini di prevenzione, dato che la maggior parte dei potenziali abusivisti metterà in conto un rischio remoto ed anche vago, rischio che s’accompagna ad ogni attività umana, lecita o illecita che sia. In fin dei conti, quando un fenomeno illecito non è più contrastabile negli effetti che ha già prodotto – per di più normalmente espressione d’esigenze spesso meritevoli di qualche considerazione – se il diritto inanemente lo persegue, propizia un risultato paradossale. Dovendo il diritto essere un sistema d’ordine, finalizzato ad assicurare certezze, quando opera dove necessariamente finisce con il fallire i suoi scopi, mostra d’essere inetto, inane ai suoi compiti e dunque riflette un’immagine d’impotenza, arbitrarietà, inefficienza, che sono proprio l’opposto di ciò che dovrebbe, per essere componente portante della cooperazione e dell’organizzazione sociale. Ed è qui che la politica fallisce, privandosi del suo massimo strumento d’incidenza nel tessuto sociale, vale a dire la creazione di regole giuridiche che indirizzino verso condotte virtuose. La proposta del Presidente De Luca – che poi non è solo la sua, ma di molti parlamentari campani dalla varia estrazione – di produrre una legittimazione definitiva quanto meno per tutti coloro che una richiesta di condono l’abbiano presentata o i cui abusi risalgano ad una non recente data, quella proposta consentirebbe di porre su nuove e più realistiche basi la battaglia rigorosa e ferma contro l’abusivismo edilizio. Altrimenti, si può continuare con le retoriche della legalità, ma la realtà effettuale sarà da un’altra parte, con deleteri effetti. Si tratta d’un sano pragmatismo, che manca per ogni dove.