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L’alternativa disperata alla medicina aziendale

Opinionista: 

Solo chi ha vissuto esperienze simili ai casi di Eleonora, Alessandra ed altri, può comprendere il senso d'impotenza e di frustrazione, il dolore e la rabbia di dentro che annulla aspettative felici, semplici, complicate o contraddittorie che siano, quando il tempo tiranno sentenzia una improvvisa diagnosi senza speranze, terminale e destruente. La disperazione lascia presto il campo alla lucida follia, alla ricerca di un antidoto alternativo, che in fondo sembra rientrare nei canoni più classici ipotizzabili di quel quadro generale che attiene alle logiche più attuali: la perdita dell'equilibrio biologico ed esistenziale che ti conduce alla resistenza passiva, a rifiutare regole scritte da altri nel lavoro, nella gestione della tua esistenza, dei diritti calpestati dall'arroganza sfrontata del potere gestito da persone immeritevoli, incapaci e così menefreghisti da annientare la tua pazienza, la tua fiducia in coloro a cui hai affidato la tua vita di cittadino, di dipendente, di paziente. Il rapporto fiduciario, quello relazionale e umano, non quello freddo e asettico bancario, è la pietra angolare su cui si basa la nostra società civile dagli albori, per definizione, basta leggere la storia dell'uomo per comprendere la verità assoluta di tale assioma. Perché l'antipolitica? Perché la fame di nuove o "risorte" ideologie totali e fanatiche nella loro antitesi rivoluzionaria religiosa e politica? Perché il paradosso dialettico e culturale delle "fobie antifobiche"? Perché, sempre più, rispetto al passato, in una inconcepibile antitendenza con i successi scientifici, ricorriamo ad una medicina, fatta di terapie fantasiose e farmaci partoriti da idee paranoiche, alternativa, solo per il semplice motivo che ti induce e aiuta a dire "no", a proclamare, in un ultimo respiro di libertà, la tua scelta di...morire? Infatti il senso del contendere è la paura della fine: una parola che non vorremmo mai che altri pronunciassero per noi, una decisione che già diventa umanamente difficile da metabolizzare da credenti, come passaggio verso un mondo eterno e migliore. Ed è su questo discusso e disorientante senso di libero arbitrio che si avventano, come in politica e nel quotidiano, i nuovi profeti del nulla, i millantatori di grazie e di prodigi, i falsi sacerdoti di una nuova etica terapeutica, alla pari degli imbonitori e dilettanti ex disoccupati che affollano le aule delle istituzioni parlamentari e varie; come frammenti incrinati dello specchio di masanielli o satiri plebei che hanno affollato d'illusioni la nostra storia, essi calano famelici, tronfi di un misticismo rasputiniano nelle nostre menti, nei nostri cuori... e portafogli, imbibendo delle più assurde teorie taumaturgiche un organismo piagato dalla malattia e da quella aulica e spocchiosa superiorità di medici professori oncologi e altri, per i quali le parole umanità, amore e fiducia appartengono ad un idioma sconosciuto. L'illustre professor Veronesi, buon frequentatore di stanze istituzionali, ha espresso la sua opinione su Repubblica di lunedì scorso, e in verità, come non rimanere colpiti dalle sue argomentazioni "sussurrate a penna" con quell'inconfondibile stile di "medico-padre" da lui stesso osteggiato? Una specie di esegesi blandamente autocritica sui danni commessi nel passato da oncologi, santoni della chemioterapia imperiosa e demolitrice, "... arroccati nel loro sapere...", autocelebrativo e molto remunerativo, aggiungiamo noi, che negli anni hanno consegnato pazienti disorientati nelle mani dell'umanità a buon mercato di ciarlatani e guaritori, saggi soltanto nell'affrancarli dal giogo di una rete di portaborse in camice bianco, procuratori di clienti pronti a vendersi tutto, pur di essere ammessi alla parola ieratica e divinitoria del luminare di turno! In questa squallida rappresentazione di una "medicina aziendale" dove dal basso si procede a piramide verso il mentore supremo, travasando da pubblici ospedali a lussuose cliniche private una schiera di ammalati terminali e pazienti assetati di vita, sorge spontanea una domanda: ma esiste una differenza fra guaritori e moderni cerusici formatisi a concorsi universitari di "mutuo soccorso" ? A parte la caduta di stile di Veronesi sull'accenno a nuove sperimentazioni presso il "suo" Istituto Europeo di Oncologia, su una cosa siamo d'accordo: in un paese libero, ognuno è libero di rifiutare la cura, di scegliere di smettere di soffrire, di credere nell'immortalità dell'anima o nel nulla, ed ha diritto di affidarsi ad un medico consapevole che la qualità della vita e dell'assistenza da offrire al paziente non sia esclusivamente proporzionale alla quantità dell'onorario riscosso.