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Le ambizioni di Renzi e il bene del Paese

Opinionista: 

Nella babelica confusione delle ipotesi che si accavallano (dentro e fuori dei partiti) sul destino della legislatura, sull’ipotesi delle elezioni anticipate e sul tipo di legge elettorale con la quale si formeranno i due rami del parlamento, è forse opportuno partire da una serie di dati di fatto e da una loro plausibile interpretazione. Il primo di essi è l’intenzione esplicitamente manifestata e argomentata da Renzi di andare entro giugno allo scioglimento del parlamento e alla consultazione elettorale. Si tratta di un disegno politico che, erroneamente a mio avviso, assegna a una ipotesi di governo forte, con un premier non condizionato dai partiti e dalle loro beghe più o meno giustificate, il compito di realizzare il disegno riformatore bruscamente interrotto con la sconfitta subita il 4 dicembre. Ma è poi così? Io penso, piuttosto, che una tale accelerazione avrebbe effetti fortemente negativi. Innanzitutto si corre il rischio di andare alle urne con due diversi sistemi elettorali, creando scompensi e confusione nel corpo dei votanti e disarmonie nella composizione delle rappresentanze. Si tratta di una ipotesi che è stata considerata del tutto inadeguata dal presidente Mattarella e criticata persino dal presidente emerito Napolitano, uno dei più convinti sostenitori della politica renziana delle riforme, che in coerenza, a dire il vero, con la sua idea di stabilità e funzionamento del sistema politico, ha dichiarato che nei paesi civili le elezioni si fanno alla scadenza naturale. A ciò si aggiunga che un quadro plausibile di instabilità provocato dagli intendimenti di Renzi (fuori e dentro il suo stesso partito) metterebbe nell’angolo il governo Gentiloni, legittimamente eletto dal parlamento, in una delicatissima fase che riguarda, proprio nel corso del 2017, temi scottanti, primo fra tutti la questione dei migranti, quella dello squilibrio tra politica economica restrittiva e investimenti per il lavoro e lo sviluppo, la celebrazione, che si terrà proprio in Italia, non solo rituale, ma politica, del 60° anniversario del trattato europeo di Roma. Le ultime notizie ci dicono di un Renzi sempre più parossisticamente fermo sulla data dell’11 giugno per le elezioni anticipate. Pur di raggiungere l’obiettivo ha disfatto l’alleanza con Grillo durata lo spazio di una notte e infrantasi sullo scoglio dei capilista bloccati e si è convinto di cedere sul punto del premio di maggioranza al partito e di accogliere la proposta del premio alle coalizioni, ipotesi sulla quale possono convergere non solo Alfano e la sua pattuglia, ma anche Forza Italia, purché si lasci a Berlusconi mano libera nella scelta dei capilista bloccati, con buona pace della libertà di voto del cittadino garantita dalla carta costituzionale. Ma sulla navigazione di questa ipotesi incombe un’altra minaccia: la probabile scissione di pezzi della sinistra Pd dinanzi alla questione dei capolista bloccati, un’arma nelle mani del segretario del partito e della sua maggioranza per ridimensionare i riottosi. Nella stessa maggioranza che sinora ha appoggiato Renzi è emersa la frattura tra i seguaci di Franceschini che è per il premio di maggioranza alle coalizioni e quelli di Orfini che invece guarda ancora al premio per il partito. Infine, c’è da chiedersi se il corpo di un partito che si dichiara ancora di sinistra è disponibile a vedere posposti ai problemi della governabilità e, diciamolo pure, alla spasmodica ricerca di Renzi di una clamorosa rivincita dopo la batosta del 4 dicembre, i gravi problemi dell’aumento della povertà, le leggi ferme in parlamento, a partire da quella sullo ius soli per i figli dei migranti già italiani, la battaglia per l’occupazione e per il cosiddetto reddito di inclusione, l’abolizione della vergognosa pratica dei voucher, la riforma della prescrizione, il rafforzamento del welfare attraverso una redistribuzione equa e non punitiva delle risorse e dei profitti. Un ben noto politologo italiano ha cercato spiegare al segretario del Pd che il suo opportunismo istituzionale potrebbe avere un costo elevato, e non solo per lui e il suo partito, ma per tutto il paese.