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Le ideologie sono morte E se le resuscitassimo?

Opinionista: 

Kostas Charitos che la critica definisce “il Maigret greco” o “il fratello greco di Montalbano”, protagonista dei bei libri dello scrittore Petros Markaris, ha un hobby dal quale trae suggerimenti e idee: quello di sfogliare frequentemente il vocabolario. Ci piace ripetere, di tanto in tanto, questo esercizio, realmente stimolante. Così, sfogliando le pagine del dizionario italiano di Sabatini Coletti, ci è caduto l’occhio sulla parola, ideologia, “complesso di idee e di finalità che costituiscono la ragion d’essere e il programma di un movimento politico, di un partito ecc.”. Ma le ideologie - ci è stato detto - sono morte. Fu un politologo statunitense di origine giapponese, Francis Fukuyama, nel suo bestseller intitolato “La fine della storia e l’ultimo uomo” a elaborare la teoria della morte delle ideologie. La domanda, direbbe Antonio Lubrano, sorge spontanea: le cose stanno davvero così? Le ideologie sono realmente morte? E, se questo è vero, si tratta di un fatto positivo o negativo?”. Certo, se ci soffermiamo sui parametri del marxismo e del liberalismo, le due grandi ideologie che hanno permeato di sé lo sviluppo della politica, siamo portati a constatare che, probabilmente, nella loro rigida dimensione ottocentesca, l’uno e l’altro non posseggono più la chiave di lettura idonea a interpretare i fenomeni di una società come l’attuale, in permanente evoluzione. Marxismo e liberalismo rigidamente intesi, appartengono a un altro mondo che ha ben poco da spartire con l’attuale dominato, ci verrebbe da dire sopraffatto, dalla tecnologia. Per dirla con Papa Bergoglio, questo prevalere del pensiero tecnico scientifico come “unico paradigma di comprensione” della realtà “è all’origine di molte difficoltà del mondo attuale”. Ma torniamo con i piedi per terra e a chiederci, quindi: può il mondo della politica sopravvivere alla mancanza di ideologie? Sappiamo che non tutti saranno d’accordo con noi. Ma la nostra risposta è “no”. Perché – e abbiamo modo di constatarlo anche soltanto leggendo le cronache quotidiane - senza quello che il Sabatini Coletti definisce “complesso di idee e di finalità”, la politica si riduce a mero pragmatismo, a esercizio del potere fine a se stesso nel quale gli strumenti si trasformano in fini in un processo degenerativo nei confronti del quale, già più di sessant’anni fa, Ignazio Silone, con lo spirito profetico che è proprio dei grandi intelletti, aveva lanciato il suo grido d’allarme. Il nostro non è un discorso astratto. Le conseguenze della morte delle ideologie sono molteplici. Due, in particolare, ci sembra meritino di essere evidenziate: l’incapacità delle forze politiche, sempre più perdute in mediocri risse da cortile, di elaborare progetti e proposte e la sempre più mediocre qualità del cosiddetto “personale politico” (dove sono finite, ad esempio, le scuole di partito nelle quali, un tempo, veniva preparata una classe dirigente in grado, quantomeno, di aver cognizione dei problemi dei quali avrebbe dovuto occuparsi?). Sappiamo bene che sarebbe anacronistico voler riproporre, oggi, nella loro forma originaria, nata e sviluppatasi in un altro contesto storico, gli schemi ormai superati, del marxismo e del liberalismo. Ma anche alla politica riteniamo sia applicabile la vecchia e insuperata legge di de Lavoisier secondo la quale “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. E allora non crediamo che sarebbe improponibile la riscoperta di forme ideologiche capaci di esprimere e di interpretare valori, sia pure diversi tra loro, volti a confrontarsi in una dialettica capace di volare alto anziché razzolare in un pollaio, di contrapposizioni deprimenti. La gente parla della politica con disprezzo. Non è giusto, ma di fronte allo spettacolo che essa ci riserva, è comprensibile. Forse è giunta l’ora di restituirle la dignità perduta.