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Le scelte impopolari si facciano sul fisco

Opinionista: 

Le tasse. Eccola la madre di tutte le battaglie del centrodestra. Giorgia Meloni non s’illuda: alla fine sarà su questo, sulla capacità di ridurre l’insopportabile carico fiscale che grava su famiglie e imprese, che gli italiani la giudicheranno. Finora la premier se l’è cavata un po’ vivendo “di rendita” sull’eredità del governo Draghi, a iniziare da una legge di Bilancio che era praticamente già scritta, un po’ ripetendo il mantra che «i soldi sono pochi» e quindi «non si possono fare miracoli». A questo giro è bastato, al prossimo non sarà così. Palazzo Chigi non può immaginare di ripetere pure per tutto il 2023 che le risorse sono scarse, anche perché tali resteranno per un bel po’. E nel frattempo che si fa? Continueremo a lasciarci schiacciare da una pressione fiscale insopportabile? Ma poi chi l’ha detto che non ci sono spazi di manovra? Non ci sono se si rinuncia in partenza ad intervenire sul perimetro del bilancio pubblico. Se si rimuovesse questo totem, invece, molto potrebbe cambiare. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha annunciato che il Governo intende ridurre le aliquote Irpef ai cittadini e abolire l’Irap alle imprese: è la strada giusta. Quello che non funziona è innanzitutto lo strumento scelto della legge delega. L’ennesima. Vuol dire che i tempi per vedere in vigore il nuovo fisco saranno inevitabilmente lunghi. In secondo luogo non è ancora chiaro se la riforma preveda o meno una riduzione del gettito. Nel primo caso sarebbe una cosa seria; nel secondo no. Un cambiamento a invarianza di gettito o quasi non vorrebbe dire tagliare il carico fiscale, ma solo redistribuirlo in modo diverso tra i contribuenti. Infine, non una sola parola è ancora venuta sulle fonti di finanziamento di questo intervento. Per essere credibile, qualunque riforma fiscale con riduzione di gettito va coperta con risorse ricavate dal bilancio pubblico. Altrimenti significa maggiore deficit e debito. Dunque, se la Meloni vorrà passare alla storia come la premier che ha ridotto le tasse agli italiani non ha che una strada: tagliare sprechi e ruberie di spesa pubblica e mandare in pensione la repubblica dei bonus e delle mille agevolazioni. L’idea di ridurre da 4 a 3 le aliquote Irpef è ottima. Potrebbe essere migliore della flat tax. Il perché è semplice. Dati ufficiali del gettito Irpef alla mano, studi seri sul tema assicurano che se si varassero una no tax area sotto i 20mila euro e tre aliquote, al 20% da 20 a 50mila euro, al 30% tra 50 e 100mila euro e al 43% sopra i 100mila, le tasse si ridurrebbero di circa 40 miliardi di euro. Quasi tutti a beneficio di chi guadagna meno di 55mila euro. In pratica si ridarebbe fiato al ceto medio, letteralmente massacrato dalle crisi degli ultimi anni e il cui impoverimento è alla base di quello patito dall’intera Nazione. Come finanziare la riforma? Facciamola breve: tagliando circa la metà delle deduzioni e detrazioni fiscali oggi erogate a pioggia. Valgono 80 miliardi, escludendo quelle sociali per carichi di famiglia, redditi da lavoro dipendente, mutui prima casa e così via che ovviamente non andrebbero toccate. Sul lato delle imprese, l’eliminazione dell’Irap immaginata dall’Esecutivo va benissimo: servono 30 miliardi. Tagliamo dello stesso importo la massa di fondi perduti che ogni anno vengono erogati. Meno tasse in cambio di meno provvidenze. È uno scambio ragionevole. Inoltre, un taglio fiscale di questa portata senza fare un euro di debito in più, abbasserebbe il nostro spread facendoci ricavare altre risorse. Ovviamente questa non è l’unica soluzione tecnicamente possibile, ne esistono altre. Tutte, però, si basano su un presupposto: la volontà politica di farla finita con consorterie e corporazioni che sguazzano sugli sprechi di spesa pubblica e sull’elusione della base imponibile in cambio del loro voto. Com’è che ha detto la Meloni? «Non dobbiamo temere scelte impopolari». Le faccia. Solo così potrà rilanciare l’Italia.