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L’indignazione di Saviano sull’attuale politica del Pd

Opinionista: 

Da qualche giorno sta facendo scalpore l’intervista rilasciata da Roberto Saviano alla “Stampa” e che ha per oggetto un’impietosa analisi dello stato di inerzia e di confusione (per non usare le colorite espressioni savianee) in cui versa l’attuale politica del Partito Democratico. Devo dire che mi meraviglio della meraviglia che ha manifestato il noto scrittore quando afferma che “non se ne può più di chi non ha una posizione su nulla e giustifica la propria esistenza da 25 anni prima in opposizione a Berlusconi e poi a Salvini, indignandosi quando sono all’opposizione e lasciando tutto immutato (per meglio gestire il potere) quando sono al governo. È politica questa? A me pare arte della sopravvivenza”. Sono stato un vecchio militante del Pci e prima ancora del Psi e sono restato nel partito nuovo nato dalle ceneri del Pci fin quando vi è stato, almeno nel nome e nel simbolo, un riferimento alla parola “sinistra”. Una parola che è progressivamente scomparsa dalle varie denominazioni del partito erede del Pci. Ma la via scelta dal gruppo dirigente dei due partiti Democratici di Sinistra e Margherita fu quella subito definita da Emanuele Macaluso “fusione a freddo”, cioè una operazione che garantiva la sopravvivenza del gruppo di potere che aveva in mano il nuovo soggetto politico. Col passare degli anni tutti o quasi i leader provenienti dal Pci sono stati, non dico esautorati, ma certamente messi nell’angolo o volontariamente passati ad altri “mestieri” come il regista Veltroni, o costretti a continuare il proprio impegno teorico e propositivo come D’Alema nella fondazione “Italiani/Europei”, o usciti dal partito per fondare un nuovo soggetto politico “Articolo Uno” come Bersani e Speranza. Tutt’altra storia caratterizza l’altro spezzone del nuovo partito, i cattolici democratici che progressivamente conquistano i posti di comando: Renzi che diviene segretario e poi Presidente del Consiglio, Franceschini, Letta, Fioroni, Gentiloni, Castagnetti, Rosy Bindi e naturalmente Prodi sia pur defilato. Molti commentatori hanno avuto da ridire sulle forme certo non eleganti e talvolta scurrili dell’atto d’accusa di Saviano. E, tuttavia, c’è poco da eccepire sul fatto, segnalato dallo scrittore, che il Pd si è presentato negli ultimi 25 anni come capofila di una opposizione prima a Berlusconi e poi a Salvini-Meloni, «indignandosi – scrive Saviano - quando sono all’opposizione e lasciando tutto immutato (per meglio gestire il potere) quando sono al governo. È politica questa? A me pare arte della sopravvivenza». Come dar torto a Saviano? Ma il coltello gira nella piaga, quando si accusa un partito che dovrebbe avere nel suo programma e nella sua prassi quotidiana una politica di accoglienza dei migranti propone con l’allora ministro Minniti una vergognosa politica di respingimento, pilatescamente affidata alle motonavi tunisine. Per non parlare poi delle migliaia di braccianti extracomunitari che lavorano schiavizzati nelle campagne pugliesi per qualche euro al giorno. Di qui a poco ci sarà la cartina di tornasole che valuterà se nel Pd è restata qualche traccia di sinistra: ci aspetta un autunno che sarà segnato dal confronto tra Confindustria e Sindacati, tra chi pensa a una marea di licenziamenti e di riduzione del salario e chi lotterà non per sconvolgere il sistema o per fare la rivoluzione, ma per difendere e migliorare le condizioni di lavoro e di vita di milioni di lavoratori e di lavoratrici. E qui per l’ennesima volta si misurerà il tasso di coerenza del sedicente partito di sinistra.